Parole - La bambina caduta dal quinto piano: la speranza e il gesto

Allora non chiudiamo gli occhi, non voltiamo la schiena, non tappiamo le orecchie, non scappiamo. Ce lo ha detto la storia di Frida, la bambina di quattro anni che cadendo dal quinto piano del palazzo di casa sua non ha trovato un marciapiedi ma una persona. Una persona che ha un nome e un cognome, ma che in fondo dovrebbe e potrebbe essere noi tutti. L’insegnamento di Mattia Aguzzi, il 37enne eroe della periferia di Torino, non è aver salvato una bimba, che evidentemente un suo angelo custode lo ha trovato anche in terra, ma l’aver guardato in alto, l’averci provato, facendo poi non risultare affatto secondario naturalmente l’esserci riuscito. Siamo abituati a storie di donne violentate con il primo passante che tutt’al più se la a gambe, di persone lasciate agonizzare a terra tra l’indifferenza generale e qualche video. E allora l’episodio di Torino è un segnale che offre sentimento e speranza a quel che siamo e a quel che saremo.
Mattia ha incassato la gratitudine della Meloni e riceverà probabilmente una civica benemerenza dalla città. Ma c’è da andare oltre. In una fase d’emozione come quella della vicenda di sabato, più che soffermarci su come Frida sia stata acciuffata e stretta, prima che qualcuno calcoli la velocità di caduta della bambina e l’urto sul suo salvatore, bisognerebbe, infatti, elevare, con la riuscita del gesto, l’idea del gesto stesso. Niente affatto banale in un’epoca dove è più facile far finta di non vedere e scappare. E dove per diventare eventualmente eroi bisogna comunque essere prima persone vere.

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