Parole - Le serrande abbassate su cui battere i pugni

Attività storiche che chiudono, attività che si spostano dal centro storico verso piazze più affollate di presenze e portafogli, attività che soffrono e arrancano o non aprono o non riaprono. Si chiama, senza se e senza ma, sicuramente crisi, ma prima che economica verrebbe da dire sociale.
Servirebbe anche ai negozi del vecchio cuore storico della città un po’ di quella tanto sbandierata resilienza, cui negli ultimi anni in molti ambiti si è fatto riferimento quasi a esorcizzare i profondi cambiamenti. E invece, sembra non bastare neanche quella, cui i commercianti paiono essersi appellati con tutte le loro forze. Così ci dicono le loro storie. Ma evidentemente in maniera non sufficiente se le chiusure si susseguono, riflettendo, come uno specchio rotto, il cambio della società che non vorremmo, ma che in fondo non facciamo poi troppo per scongiurare. Perché ci dispiacciamo per un negozio che chiude, racontando e raccontandoci che di quanto fosse un’attività storica, un centro con merce di qualità, salvo poi quelle vetrine non fermarsi ad osservarle neppure durante una passeggiata.
I negozi che chiudono sono l’ineluttabile segno di un tempo che non concede pause e di una modernità che ormai non si può più definire neppure tale, così come di abitudini che si adeguano ai giorni nostri e si accomodano sulla poltrona del domani. E da tutto questo l’impressione è che, a torto o ragione, non si possa più scappare. In barba a qualsiasi visione urbanistica, a qualsiasi misura di sostegno al commercio, a qualsiasi piano di rilancio economico e sociale. È un quadro poco confortante ma anche troppo verificabile sul terreno della provincia italiana per pensare che solo Biella stia in questa situazione. Poi magari qui, perchè su alcune cose siamo avanti, ci sono più serrande abbassate su cui battere i pugni per la rabbia di un mondo in crisi.

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