L'omicida di Erika sconterà la pena ai domiciliari

Dimitri Fricano, 35 anni, da mercoledì sera non è più in carcere. Condannato a 30 anni per l’omicidio della fidanzata Erika Preti sconterà il restante della pena in regime di detenzione domiciliare nella casa dei genitori a Biella. La decisione del Tribunale di Sorveglianza di Torino è stata presa perché le sue condizioni di salute non sono più compatibili con la permanenza in carcere. A chiedere il pronunciamento al Tribunale di Sorveglianza erano stati i suoi legali, gli avvocati Alessandra Guarini, del foro di Biella, e Roberto Onida, del foro di Olbia. Dimitri Fricano ha lasciato il carcere di Ivrea, dov’era detenuto dall’estate del 2017, nella giornata di mercoledì. Laconico il commento rilasciato dai suoi legali: «I giudici del Tribunale di Sorveglianza di Torino hanno stabilito che Dimitri Fricano debba essere curato». Le sue condizioni di salute erano già apparse precarie al momento del suo arresto e fin da subito i legali si erano attivati per poter garantire al giovane uomo i massimi livelli di assistenza sanitaria. Condizioni che devono essere peggiorate poi dopo il pronunciamento della Prima Sezione della Corte di Cassazione che, nell’aprile di un anno fa, ha confermato il verdetto di secondo grado condannando di fatto il biellese - che aveva scelto il rito abbreviato - al massimo della pena. Era l’11 giugno 2017 quando Dimitri Fricano, commesso in un negozio di scarpe, uccise a coltellate la fidanzata 28enne Erika Preti, in una villetta di San Teodoro, in Gallura, dove la coppia stava trascorrendo le vacanze. A porre la parola definitiva sulla vicenda giudiziaria era stata appunto la sentenza della Cassazione che ha ritenuto valido integralmente il verdetto della Corte d’Appello di Sassari riconoscendo le aggravanti contesta- te della crudeltà, dei motivi abbietti e la simulazione del reato per aver provato a inscenare una fallita rapina in casa. I difensori puntavano a una riduzione della pena chiedendo l’esclusione delle aggravanti per la quale adducevano la seminfermità mentale dell’imputato.

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