Anfiteatro morenico d'Ivrea. Masino, magnifico gioiello del Fai

Caravino e la Serra da Masino.

Andai per la prima volta al castello di Masino una quindicina di anni fa, in occasione di un incontro-convegno con il Fai. Nelle sale del castello erano in corso i restauri e nel parco era iniziata l’opera di recupero guidata da Paolo Peyrone, il maggior architetto paesaggista italiano. Insomma, si vide poco ma quel poco era stato più che sufficiente per farmi capire la straordinaria qualità e bellezza del sito.
Una cosa la ricordo bene di quel giorno: le urla di Giulia Maria Crespi, fondatrice e allora presidente del Fai. Eravamo in pochi sulla terrazza, a fronte dell’entrata del castello. La focosa “zarina” - come la chiamava Montanelli ai tempi del Corriere (lei proprietaria, lui direttore) - indicava un tratto di piana morenica sotto il castello e inveiva contro qualcuno che non conoscevo, colpevole di voler trasformare quel mezzo chilometro quadrato di campi in un enorme parco di divertimenti. Ebbe ragione lei, come al solito. Di Mediapolis non se ne fece nulla, mentre Masino è ora un vero gioiello.

Un delizioso formicaio
Ci sono tornato quindici giorni fa, in occasione delle Giornate d’Autunno del Fai. Magnifico era il colpo d’occhio dall’entrata orientale del parco. Il grande prato ovale aveva una cornice brulicante di gente, con un centinaio di gazebo e di padiglioni dove si esponevano e si vendevano ogni sorta di piante e prodotti legati al verde e al giardino. Come formichine, decine di persone riempivano e trascinavano carrelli colmi di vasi, fiori e oggetti vari verso i parcheggi, altra gente affollava gli stand gastronomici e i punti di incontro dove si discuteva, si presentavano libri e dove si potevano incontrare gli esperti del settore. Non essendo il sottoscritto particolarmente navigato nel ramo orti e giardini, in quanto la parte di famiglia che si dedica a questo non era presente, mi sono limitato a godermi lo spettacolo e a salutare i diversi amici incontrati. Ho quindi raggiunto la parte nobile del parco e il castello, per completare una visita più volte rinviata.

Un lago che non c’è
Avete presente l’anfiteatro morenico di Ivrea? È grande come la parte inferiore del Lago di Garda, quella per intenderci da Peschiera a Gardone. E se la Dora Baltea non avesse trovato la sua via d’uscita nelle deboli terre tra Mazzè e Villareggia, l’anfiteatro sarebbe oggi un grandioso lago prealpino, più ampio del Lago Maggiore. In realtà qualcosa è rimasto di quell’opera immensa, poi mancata, costruita per milioni di anni dal ghiacciaio balteo che periodicamente fuoriusciva dalla Valle d’Aosta: sono i laghi di Viverone e di Candia, posti rispettivamente al limite orientale e meridionale dell’anfiteatro.
La piana è chiusa a nord-est dalla Serra d’Ivrea, considerata per il suo aspetto e la sua regolarità la morena glaciale più grande e bella d’Europa. A ovest e sud, con un grandioso arco, altre morene discontinue chiudono l’anfiteatro, interrotte solo dal taglio della Dora, che aveva fretta di andarsene al Po.

Masino, spina impudica
Proprio dove l’azione del ghiacciaio si è rallentata, indecisa se andare a oriente o a meridione, si è formata una ulteriore morena centrale, alta duecento metri in più della piana, quasi una spina impudica a violarne il cuore. Là sopra c’è Masino, con il parco, il castello e il borgo. Mille e più anni di storia umana che si fronteggiano, viso a viso, con i milioni di anni di storia della natura. Un confronto impari, ma estremamente affascinante, anche grazie ai panorami infiniti che rivelano un paesaggio sostanzialmente integro. E per questo torno a ringraziare la presidentessa Crespi, mancata l’anno scorso a 97 anni
La posizione di Masino, oltre a garantire un indiscusso privilegio ambientale, permetteva il controllo strategico delle vie consolari verso oltralpe e questo costò al castello numerose contese. Per nostra fortuna il sito è rimasto sempre di proprietà del nobile casato canavesano dei Valperga che nel corso dei secoli ha trasformato Masino da castello di difesa a residenza aristocratica e poi a dimora di villeggiatura. L’acquisto, nel 1988, da parte del FAI Fondo Ambiente Italiano, ha permesso di dare il via alla grandiosa opera di recupero.

Sfarzo raffinato
Tra le tante dimore storiche che ho visitato in mezzo secolo non solo in Italia, non ne ricordo una che possa offrire altrettanto per quanto riguarda gli arredi, la qualità delle decorazioni e degli affreschi. Gli interni del castello di Masino sono un raffinato esempio di sfarzo e di cultura sei-settecentesca, da gustarsi con attenzione e tranquillità, ancora meglio con l’accompagnamento della guida. Erano più di cinquemila i pezzi di antiquariato e le opere presenti, in parte arrivate nel tempo da altre dimore, a seguito di numerosi accasamenti tra le nobili famiglie piemontesi e lombarde.
Camminando sui diversi piani e nelle ali della dimora, si passa dal grazioso Salone da ballo agli appartamenti privati e a quello realizzato apposta a fine Seicento per una “madama reale” della famiglia Savoia, con una stanza dal raffinato letto a baldacchino e pareti rivestite da preziose sete. È presente anche una ricca biblioteca che conserva oltre 25mila antichi volumi.

Parco di levante e di ponente
La ricchezza degli interni sembra contrastare la sobria eleganza della struttura esterna, imponente ma discreta, ben legata al borgo sottostante. Le case di Masino si dispongono compatte attorno al grande campo dove si tengono le esposizioni e si animano per l’occasione con negozi, artisti e locali per l’accoglienza. Nella parte alta del borgo, vicino all’ingresso del castello, si trova anche il Museo delle Carrozze, appartenute alla famiglia Valperga.
Il parco monumentale è sostanzialmente diviso in due parti dal castello. Il settore di levante segue verso sud-est la parte alta della collina morenica, con ampie e pianeggianti distese erbose, classiche del giardino all’inglese. Attorno ad un tempietto gotico fioriscono 7000 spiree che in primavera impreziosiscono il giardino con vaporose nuvole bianche.
Nella direzione del tramonto si sviluppa un maestoso viale di tigli lungo più di 200 metri, ora di un colore giallo dorato. Al termine si trova la spianata dove è possibile perdersi nel Labirinto, un rompicapo fatto da 2000 piante di carpini dove mi sono arreso dopo mezz’ora, uscendo da dove ero entrato.
In compenso, appena fuori ho ammirato due tavole panoramiche disegnate da Francesco Corni, famoso artista illustratore, sicuramente più bravo di me in questo lavoro. Me le sono guardate bene, c’è sempre da imparare.

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