«Cima Biella? Nel ricordo di Machetto»: appuntamento giovedì 3 maggio, alle ore 21, all'auditorio di Città Studi con l'accademico Cavalli

«Perché Cima Biella?» Gian Luca Cavalli, alpinista biellese, accademico del Cai, con all’attivo diverse spedizioni internazionali, abituato a scalare su pareti di difficoltà 7A+ in prima, quasi si sorprende alla domanda. «A una vetta un nome lo si deve dare. E dal momento che l’ho scalata io che sono biellese perché non chiamarla come la mia città che, forse piu di Torino, ha visto nascere l’alpinismo?». Del resto l’alpinismo, quale attività di esplorazione e scoperta delle terre alte - Dino Buzzati, grande cronista e visionario scrittore di montagna si divertiva a immaginare le montagne desiderose di farsi battezzare per poter godere di qualche goccio di champagne caduto dai primi salitori -, si può ben dire che in Italia l’abbia introdotto Quintino Sella, il fondatore nel 1863 del Club Alpino Italiano. «Ma Cima Città di Biella vuole anche essere il mio omaggio in primis a Vittorio Sella, che del Karakorum, regione in cui abbiamo scalato e aperto altre vie oltre a questa, fu uno dei primi esploratori, e poi   al grande Guido Machetto che, con Beppe Re, ha fatto la storia della “rivoluzione” dello stile alpino - un modo di scalare agile e leggero - anche nelle spedizioni extraeuropee».

Giovedì sera Cavalli, insieme all’amico Marcello Sanguineti, genovese, anche lui accademico del Cai, racconterà la spedizione dello scorso agosto e sopratutto la giornata che non potrà dimenticare, quella del 21 agosto. «Avevamo una finestra di bel tempo che stava per esaurirsi e reduci da una precedente scalata ci siamo buttati a capofitto sulla nuova parete. Al limite delle nostre forze siamo saliti e ridiscesi con una vetta in più sul curriculum». Il nome della via “Delle Poiane” l’ha dato il terzo componente della cordata, il riminese Michele Focchi. «Le Poiane sono un gruppo di arrampicatori romagnoli di cui Michele fa parte».

A Gian Luca abbiamo chiesto che cosa significhi essere accademico del Cai. «All’interno del Club alpino esiste una sezione speciale dedicata a chi fa attività estrema. La sezione è suddivisa in tre gruppi: Occidentale, Centrale e Orientale. Si entra su presentazione di un amico e c’è una commissione che valuta il tuo curriculum. Successivamente la candidatura passa al vaglio del consiglio nazionale. Essere accademici è un bel riconoscimento».

Rientrato domenica sera da una spedizione in Giordania, in cui ha partecipato su invito del Cai centrale, Cavalli adesso guarda già avanti. «Il mio sogno ora? Inizia da Milano con un volo per Francoforte e poi da lì prosegue con un altro volo, questa volta intercontinentale, verso l’Argentina, per la precisione Usuaia. Da qui cambia mezzo. Si imbarca per i tempestosi mari che dividono la Patagonia dall’Antartide e approda su una meravigliosa terra inesplorata con tante montagne che attendono si essere scalate». Cavalli sorride ma sotto sotto ha buoni motivi per credere che il “sogno” presto potrebbe trasformarsi in qualcosa di concreto, di reale. Aveva diciassettenne anni, Gian Luca, quando ha scalato per la prima volta. «Ero con un amico, un comune conoscente ci aveva proposto di accompagnarlo a Courmayeur, alla base del ghiacciaio del Miage, per cercare cristalli. Ci annoiavamo. Prendemmo delle corde che aveva con sé e iniziammo a provare ad arrampicarci sulle pareti intorno. Lui ci disse però che se volevamo scalare avremmo dovuto andare al Cai. La sera dopo mi presentai in sezione e dissi: voglio arrampicare. Quella sera c’era Ermanno Pizzoglio un ottimo scalatore e istruttore della Scuola di alpinismo. Mi invitò a presentarmi l’indomani mattina e così da allora l’alpinismo non mi ha mai  abbandonato». Per Cavalli l’alpinismo  è una vera e propria passione. «Non so dare un termine a quel misto di emozione e paura che si prova quando sei di fronte a una parete “vergine” e ti domandi se riuscirai ad arrivarne all’uscita toccando il cielo. E’ questo quello che continua a tenermi vivo».

Cavalli questa passione ora vuole trasmetterla ai giovani di Biella per rinverdire i fasti della tradizione alpinistica locale. «Ho un progetto che sto definendo per spingere i ragazzi alla montagna coinvolgendo amici accademici, guide alpine e anche il Cai centrale. Penso che in due anni, con un programma specifico e l’accompagnamento a ripetere le vie più difficili,  potrebbero avere le basi per essere gli accademici del domani» conclude Cavalli. Giovedì sera a Città Studi Cavalli sarà a disposizione per domande e curiosità. La serata è presentata dal Cai di Biella che ha organizzato la spedizione con il contributo del Rotary Valle Mosso, del Lions Biella Valli Biellesi e del Lanificio Botto Giuseppe.

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