Cibo, terra e salute: la vita di Max Jones

Max Jones e alcuni momenti di vita nel borgo (foto Filippi, Anselmo Ricolfi).

Esiste, dalla notte dei tempi, un binomio in perenne tensione, quello tra natura e cultura, una battaglia di supremazia che spesso si traduce con una lacerazione in cui siamo tutti coinvolti a pagarne le spese. Uno degli ambiti di maggior dibattito è quello alimentare, ancora troppo lega- to a soddisfare un fabbisogno indiscriminato e ancora troppo poco rispettoso dell’ambiente e di ciò che può offrire. In questo gli antichi erano più avanti di noi: depositari di vaste conoscenze, hanno saputo portare avanti intere comunità con tecniche e processi alimentari etici, mirati primariamente alle necessità fisiologiche e in grado di creare un legame di profonda connessione con il territorio.
Lo sa bene Max Jones, giovane nato in Inghilterra per metà biellese da parte materna, che ha fatto di questo legame con il territorio la sua filosofia di vita. Da sempre inserito nel campo dell’alimentare, ha sviluppato negli anni un forte interesse per gli artigiani che portano avanti antiche sapienze sulla produzione di cibi genuini, ormai quasi estinti a vantaggio della grande distribuzione. Spiega Max: «Oggi mangiamo troppi cibi processati del supermercato e abbiamo paura delle date di scadenza. Tutto questo non fa altro che erigere un muro tra noi e il vero cibo. Per questo ho incominciato a documentare le conoscenze provenienti da diverse parti del mondo tra cui Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia e Irlanda, nella mia pagina instagram, @uptherethelast, perché purtroppo è un mondo che sta scomparendo. È faticoso e non rende come altre attività e quindi risulta poco appetibile alle nuove generazioni, pur essendo, secondo me, tra le ricchezze più grandi che abbiamo nella nostra cultura umana, una summa di molte branche del sapere come la chimica, la fisica, la biologia». Dalla lavorazione dei formaggi a latte crudo senza fermenti, alla conservazione dei salumi sottovuoto sfruttando l’eliminazione dell’ossigeno mediante combustione, dalla battitura delle castagne di Bagneri, all’affumicatura del salmone selvatico dell’Atlantico, Max sottolinea l’importanza di rieducare al gesto, al processo e al tempo necessario per ottenere il prodotto: «Da quando 5 anni fa mi sono trasferito in Irlanda per lavorare con una pescatrice di 65 anni, ho appreso tutte le problematiche legate alla pesca del salmo- ne selvatico, ai cambiamenti climatici che li minacciano e alla conseguente necessità che ha spinto a rivolgersi agli allevamenti intensivi. Con piacere ho appreso che l’interesse e la curiosità che suscitano queste intelligentissime tecniche centenarie è tale da portarci ad aprire delle scuole per ricollegare le persone alle abilità che tutti avevano una volta. Altro aspetto fondamentale è, poi, la riscoperta di saper trascorre- re il tempo insieme, della convivialità che trasforma un semplice pasto in un momento di grande rilevanza sociale» e aggiunge, con parole di feuerbachiana memoria «mangiando il cibo prodotto in un determinato luogo, si diventa parte del posto, si instaura un legame profondo che è un nostro diritto. E questo accomuna tutti i Paesi. Noi siamo vivi e immersi nella natura e ci sono tante cose bellissime che possiamo reimparare se solo togliessimo il paraocchi».
Biella e tutto il territorio limitrofo, infine, rimangono per Max un luogo speciale, non solo per le sue radici: viaggiando molto ha potuto constata- re la ricchezza del Biellese di essere una delle realtà che ancora oggi cerca di conservare le tradizioni, risorsa che si può sfruttare anche per impattare meno sulla produzione, perché il ritorno alla terra ha, nelle sue parole, il sapore di futuro: «Se ritornassimo alla mentalità dei nostri avi, avremmo risolto molti problemi di sostenibilità e inquinamento. Dobbiamo imparare a non sprecare, a consumare solo prodotti di stagione, a trascorrere, insomma, una vita che ci faccia sentire fieri di essere su questa Terra».

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