Emergenza Coronavirus. Angeli senza sorriso, ma dal grande cuore

Drin…
“Novara 118, ciao, ho una grana per voi, scusatemi”
“tranquilla dimmi”
“un giallo COVID”
“ok”
“salite in due mi raccomando”
“si tranquilla, dove?
“via xxx, allarme alle ore xx”
“ok, ricevuto”
“mi raccomando, proteggetevi. Per qualsiasi cosa chiamateci”.
Di telefonate dalla centrale operativa del 118 ne abbiamo sempre ricevute tante, ma in questi giorni non vorresti riceverle. La voce che ti fa uscire è quella di una persona che non conosce con chi parla e di quale equipaggio fai parte, ma è preoccupata per te. Non ha tempo per dirti altre cose, è un giallo respiratorio, c’è da muoversi.
Solo che muoversi non è facile: devi “bardarti”, devi mettere quella tuta XL bianca e plasticosa, con tre paia di guanti, la mascherina, gli occhiali (sopra quelli da vista), che si appannano, il cappuccio, i calzari, il nastro adesivo per sigillare la cerniera, la visiera in plastica.
Non è facile bardarsi bene, ma devi farlo in modo impeccabile, perché ne va della salute tua e di chi sta vicino, prima di tutto i tuoi famigliari.
……
Dopo dieci minuti ti richiama la centrale
“ragazzi a che punto siete?”
“si abbiamo finito di vestirci, partiamo ora”.
Sirene spiegate si va. Viaggiare sull’ambulanza così bardati non è facile, ti manca il respiro, le curve, la strada, soffri un po’. Ma non hai la testa per quello, stai cercando di non pensare a quello che ti troverai davanti.
……
Arrivi, ti metti d’accordo con l’autista che si chiude in cabina.
Sali, ti trovi davanti il paziente coi famigliari. E’ orribile. Ma li vedi senza mascherine o sono fuori posto, devi ordinare a loro di sistemarle o le consegni tu a tutti, gli devi dire di allontanarsi, di tenere un metro e anche più di distanza da te. Certo non fai una bella impressione, sembri un alieno bianco, una di quelle inquietanti figure che vedi nei film su Cernobyl, ma sai che sei tu. Dobbiamo essere umani e proteggerci al contempo. Speri che la persona cammini, così da farla scendere in autonomia, ma non è così e chiaramente non c’è neanche l’ascensore.
Prendi i parametri. Dai l’ossigeno, la fai sedere sulla sedia cardiologica (una sedia apposta per il trasporto per scendere le scale), la porti giù a fatica, devi essere anche duro perché non si aggrappi. E in tutto questo le fai paura, così “bardato”. Ti fai paura anche da solo.
Arrivi in pronto soccorso, ma non è ancora finita, devi comunicare all’infermiere, attraverso la mascherina.
Poi c’è da sanificare l’ambulanza, soluzione a base di candeggina, su tutto, senza pietà.
Devi sostituire le bombole d’ossigeno, c’è da cambiare i teli di protezione, deve essere tutto pulito a posto. Finalmente ti svesti, Aria senza  tuta, occhiali.
Non so quanto ci abbiamo impiegato: mezz’ora? Forse anche di più.
……
Drin
“ragazzi siete operativi?”
“dimmi”
“un altro COVID”
“ma dai, abbiamo appena pulito tutto”
Ci ridi su, ma sai che è una risata amara.
Tornare a casa dopo un servizio del genere è brutto, i tuoi famigliari sono preoccupati, tu sei stanco, sogni il letto e confidi di essere ancora sano.

Cinquecento angeli
Quello che avete appena letto è una pagina che mi ha mandato un volontario della Croce Rossa Italiana, impegnato nell’emergenza Covid19, uno dei tanti che prestano il loro quotidiano servizio in forma gratuita, prendendosi cura di noi.
Uno dei tanti. Ma quanti sono, mi sono chiesto, questi angeli ora senza sorriso ma con un grande cuore. Nel Biellese sono oltre cinquecento! Suddivisi tra i tre Comitati della Croce Rossa Italiana di Biella, Cossato e Cavaglià, più la Croce Bianca di Biella, la Croce Blu di Biella (che gestisce anche la postazione di Trivero) e la Croce di Malta di Cossato.
Un piccolo esercito al fronte, mandati per primi fuori dalla trincea, di corsa con le sirene spiegate come fossero baionette. Verso un nemico invisibile, incredibilmente infinitesimale, ma capace di uccidere. E con una mansione morale delicata e difficile: far capire al malato e ai famigliari che potranno non vedersi più!
Ecco perché parlo di angeli senza sorriso. E qualora volessero, la loro bontà d’animo si smarrirebbe tra mascherine e visiere. Ed è un peccato perché in questo momento un sorriso farebbe del bene, senza costare nulla. E’ quello che dice anche Deodato, un pupazzo sconsolato che avevo inventato nel 1985 per la Croce Rossa di Cossato. Era un cartoncino ripiegato, che aperto diventava una croce rossa, ideato in occasione nel quinto anniversario di fondazione del locale sottocomitato della Cri.
A questo punto mi è venuta un’altra idea. Visto che le mascherine stanno finalmente arrivando in quantità sufficiente e qualcuno li vende anche “personalizzate”, cioè con scritte e sponsorizzazioni, perché non ci stampiamo sopra il nostro sorriso!

Sorriso!
Un sorriso non costa nulla
e produce molto.
Arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma nel ricordo può essere eterno.
Nessuno è così ricco
da poterne fare a meno
e nessuno è così povero
da non poterlo dare.
Crea felicità in casa:
negli affari è sostegno,
dell’amicizia profonda sensibile segno.
Un sorriso da riposo alla stanchezza:
nella tristezza è consolazione.
E’ l’antidoto naturale
di tutte le nostre pene.
E’ un bene che non si può comprare,
ne prestare, ne rubare,
poiché esso ha valore
solo nell’istante in cui si dona.
E se poi incontrerete
chi non vi dà l’atteso sorriso,
siate generosi e dategli il vostro.
Poiché nessuno
ha tanto bisogno di sorriso
come colui che ad altri non sa darlo.

La Croce Rossa di Cossato ha lanciato una sottoscrizione per l’acquisto di nuovi dispositivi di protezione individuale e ha attivato un servizio di consegna di beni di prima necessità per le fasce di popolazione più vulnerabili, attivabile telefonando al numero verde 800 065510.

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