Parole - Caso Djokovic: il vaccino che neppure doveva essere della partita

Vantaggio Djokovic. Credo lo abbia titolato, con il solito acume, anche un tabloid inglese. Ma poco importa. La vicenda del tennista serbo in terra d’Australia è vicina ad una conclusione. Un ace sembra averlo portato ad un passo dal restare a Melbourne, con il governo del posto che però si è come spicciato, dopo l’overrule del giudice, a chiamare occhio di falco, ovvero il ministro dell’immigrazione. Addirittura.

Come una partita a tennis. E anche di quelle bizzarre. Ormai al tiebreak del quinto set, perché in Australia per stare alle regole tennistiche c’è. Djokovic era andato avanti due set a zero e maramaldeggiava nel terzo, perché solo così si poteva trasportare nella metafora della partita la sua partenza, senza la conferma del vaccino, per l’Australia sbandierata sui social. L’atterraggio del volo e il conseguente stop all’aeroporto sono stati l’inversione di tendenza del match. Il “confino” nell’hotel dei rifugiati sono state le pallate del quarto set che si sono riversate sul numero uno. Il quinto è filato via regolare sulle posizioni ormai acquisite con il serbo pronto a chiudere il match. Ma, bisogna aspettare occhio di falco.

Sarà domani, comunque andrà, fortunatamente la fine di una vicenda già trascinatasi oltre e mal gestita da ambo le parti di campo. Dove il punto non è la vocazione no-vax del serbo.

Già, proprio così. Il problema sta nell’esenzione o presunta tale. È questo il sunto stavolta, senza spolverare le righe dei no-vax e gli smash dell’inflessibile Australia. Mi spiego, se l’esenzione ha titolo per esserci è naturale che Djokovic giochi a Melbourne cercando il decimo successo; se l’esenzione non ha titolo per esserci è giusto che il Djoker faccia le valigie. Chiaro? Al diavolo le dispute “vaccinali”. Il punto è quello. Djokovic ha “magheggiato" sulle carte come fa con il suo rovescio? Out! Ha tutto in regola, in barba al vaccino? In! Qui finiscono le responsabilità del serbo. Che se le assumerà nel caso contrario, costringendo anche ad un po’ di retromarcia la sua famiglia. Come se le dovrà assumere l’Australia se da parte sua dovesse aver favorito i documenti del numero uno perché serviva al torneo. A quel punto l’altra parte d’Australia, quella inflessibile, dovrebbe prima fare i conti con la sua metà più accomodante e con la quale avrebbe semmai dovuto chiarirsi prima. Non vorrei che oggi il problema stesse proprio lì.

Io la penso così. Perché forse il vaccino per una volta non è il punto focale. Senza tirare in ballo diritti e libertà. Ma le regole si. Poi se devo dirla tutta, il diritto - e qui tornano le metafore con il tennis - di Djokovic di non vaccinarsi, dal momento che non c’è l’obbligatorietà, è stato un tremendo rovescio del serbo, con i suoi estremismi, su una pandemia che per andarsene ha bisogno di altro.

Aspettiamo occhio di falco. Anche se sono convinto che questa volta dopo le tre fatidiche parole game, set and match sarebbe meglio non pronunciare nulla.

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