Storia. La cossatese Elena Turcato e gli 800 chilometri verso Santiago: «Il mio Cammino, emozione per sempre»

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Ci sono storie che diventano ricordi. E ci sono storie che restano emozioni. Come quella di Elena Turcato che del suo Cammino di Santiago de Compostela, dall’inizio alla fine, ne ha fatto prima desiderio, poi prova, sfida, volontà e dopo vero tesoro.
Ha dovuto attendere la pensione, ma «ne è valsa la pena» dice ancora con l’adrenalina dei passi nella voce mentre attacca a parlare. Perché 32 giorni, poi diventati 35 per la puntatina, quella in bus però, sino alla fine della terra, Finisterre, devono essere raccontati. Perché il Cammino a piedi per intero non capita a tutti di farlo. Perché il Cammino fatto così insegna e spiega. Perché il Cammino libero e naturale, quasi antico, quando arrivi davanti a San Giacomo è un «pianto e una gioia».
C’è voluto il “lasciapassare” dell’Inps a dicembre scorso, dopo una vita lavorativa come impiegata amministrativa, perché quel mese tutto attaccato lungo e filato fosse immaginabile per un «desiderio grande come quello di Santiago». Il resto lo ha fatto una delle sue figlie, Ambra: «Un giorno mi ha detto che saremmo partite il 7 aprile, senza se e senza ma. C’erano già i biglietti per Lourdes». Già, perché con Elena, che di figli ne ha cinque, ci è andata anche lei che parla perfettamente spagnolo e inglese: «Mi avrebbe aiutato a interagire con più persone. Io solo con l’italiano mi sentivo in difficoltà». È bastata la prima tappa alla vigilia di Pasqua per capire, però, che verso Santiago «avrebbero parlato per tutti, inglesi o olandesi, messicani o australiani, spesso i silenzi e i gesti quanto le parole».
Elena, che abita a Cossato e che al rigore dei numeri del lavoro ha sempre accompagnato le vibrazioni della voce con il suo dono del canto, il Cammino da vera pellegrina lo ha preparato meticolosamente. Si è allenata sulle strade del quartiere, la Masseria, girando intorno a quella chiesa di Gesù Nostra Speranza dove riecheggia abitualmente la sua voce che già da sola è coro come quello che lì dirige. Per non lasciare nulla al caso è salita a piedi un paio di volte anche a Oropa in quello che da sempre per noi è il più classico dei cammini di fede. «Dovevo “abituare” le scarpe per non far patire troppo i piedi. Mi è servito, così come la scelta delle calze giuste, perché da Santiago sono tornata senza neppure una vescica» racconta Elena che dietro si è portata uno zaino «leggero con il minimo indispensabile» perché per il Cammino basta «ciò che hai dentro».
«Volevo godermelo per intero in modo anche spirituale e religioso per arrivare davanti a San Giacomo, uno dei tre apostoli che assistettero alla trasfigurazione di Gesù» confida Elena che non fa mistero di una fede intensa, mai banale neppure nelle parole. «Il Cammino non è camminare, è scoprire l’amicizia che ti donano le persone, è creare legami, è il contatto con la natura e con chi quella natura l’ha creata. Chi alla meta mette uno scopo spirituale, aggiunge un senso che trova strada facendo, perché Dio è nella natura. È come vivere in un mondo parallelo alla quotidianità nostra. Su quei sentieri esci dalla tua zona di comfort per entrare in un altro mondo».
I 781 chilometri da Saint Jean Pied de Port, sotto i Pirenei, a Santiago (e forse Elena e Ambra con il percorso francese verso la Spagna ne hanno fatti anche in più) sono stati le tappe «per riscoprire sé stessi e la natura umana. Per capire come siamo fatti, per comprendere che siamo tutti uguali, per staccarsi dalle cose materiali». E non poteva essere altrimenti in giornate da 25 chilometri in media dove la parola d’ordine era «adattarsi e non sentirsi eroi». «Avevamo l’essenziale e ce lo siamo fatte bastare. Anche per dormire abbiamo cercato gli ostelli più semplici e le municipalità. Solo così potevo pensare di godermelo appieno e senza ansia». Sveglia alle 6, anche se «i coreani partivano già due ore prima», e assoluto «rispetto del silenzio». Poi colazione e dalle 7,30 «via a camminare fino al pomeriggio con in mezzo un panino o un piatto caldo. Solo alla sera, nei centri più grandi, ci si concedeva qualche uscita da turista. Ma quelli del Cammino li riconoscevi sempre. Perché? Per via dei sandali, nessuno alla sera voleva portare le scarpe».
Amicizia, gente, anime: «Ho raccolto emozioni. Sempre». Come quella della famiglia australiana che era lì per ricordare la figlia morta per un tumore al cervello: «In cattedrale abbiamo pianto nel momento del Botafumeiro, l’incensiere, in suo onore». Come quello dei bambini olandesi, del colombiano Juan, inseparabile compagno di viaggio, della messicana Felicia, del papà e figlio spagnoli, del giovane con il televisore portatile che ha scoperto presto non servirgli, del ragazzo gallese che ha smesso di imbrattare tutto con la sua bomboletta spray perché «il Cammino è ascolto e comprensione, è perdere una persona e ritrovarla cambiata tre giorni dopo». O della campionessa americana di hockey, «perché verso Santiago trovi proprio tutti, magari solo per qualche tappa perché tutto è impegnativo, ma li trovi tutti uguali. Ognuno con le proprie difficoltà e problemi. Persone allenate e no, persone con disabilità, persone di ogni tipo, ma tutte con una forza di volontà incredibile». Quella stessa che «quando arrivi, giri lo sguardo a sinistra, vedi la Cattedrale e piangi».
Il Cammino di Elena Turcato è una storia intrisa di normalità, abbagliata dalla scoperta, permeata di spiritualità, avvolta dal valore e dai valori, stretta a doppia mandata al rispetto: «Apri tutti i canali verso gli altri, anche quelli che abbiano perso. Condividi, dai cerotti ai silenzi, dai sorrisi alle “ricostituenti” tortillas di uova e patate. Con tutti, anche con chi non conosci, hai appena visto e magari non vedrai più. Apprezzi il valore di una doccia calda e di una pacca sulla spalla». Messe del pellegrino e catechesi negli ostelli hanno completato un percorso anche di fede, «ma non solo. Ognuno dà una sua risposta. Per tutti ha un valore speciale perché c’è chi cerca risposte e chi cerca perdono, magari come i primi pellegrini del Cammino che dovevano espiare le proprie colpe. Verso Santiago è tutto intenso, è riflessione sulla bellezza della vita, è dono. È naturalmente spiritualità anche per chi quel viaggio lo ha intrapreso solo per una sfida con il proprio corpo».
Un viaggio che per Elena un motivo lo aveva per «ringraziare Dio di quello che ho, per il dono della famiglia, del canto, della vita». Un motivo tanto forte che lo ha raccontato anche ai camminatori come lei in uno dei “parrocchiali” dove ci si passava di mano in mano un cero e qualcosa in più di un pensiero.
Tutto bello, insomma, come la lettera di ringraziamento che sua figlia Ambra, 30 anni e un compagno che del Cammino aveva provato già a farla innamorare, le ha scritto al ritorno; tutto bello come quel rosario trovato sotto al cuscino di un letto d’ostello e portato a Finisterre quasi a completare la missione spirituale di chissà chi. Tutto bello come le strade di montagna e San Giacomo, tanto che l’idea è tornarci passando dalla via portoghese e magari con l’altra figlia Beatrice che solo la scuola ha fatto stare a casa il mese scorso. Tutto bello come il Cammino di Santiago de Compostela di Elena Turcato che a Cossato ha riportato una storia che resterà emozione.

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