Daniele Nardi nei luoghi dove è nato l’alpinismo: stasera alle ore 21 sarà ospite di #fuoriluogo alla Fondazione Sella

#fuoriluogo città e cultura sceglie spazi al chiuso e all’aperto per farli diventare sedi di micro-eventi, per far conoscere meglio a chi vive la città luoghi anche sconosciuti ma carichi di fascino e suggestioni. Uno di questi luoghi sicuramente è l’antico lanificio Maurizio Sella, sulle sponde del torrente Cervo, dove negli ultimi anni è nato un polo culturale di eccellenza con la Fondazione Sella, Sella Lab e l’Università aziendale di Banca Sella. In questo luogo carico si suggestioni, dove visse Quintino Sella, ministro della nascente Italia, ingegnere e geologo, fondatore, nel 1863, del Club Alpino Italiano (Cai), si può dire, che, nella seconda metà dell’800, sia nato l’alpinismo italiano.

Qui mercoledì sera sarà ospite l’alpinista Daniele Nardi. Con al suo attivo cinque Ottomila - Nardi  è stato il primo a conquistare lo Sperone Mummery del Nanga Parbat in inverno -  nel 2017 è stato protagonista della spedizione Translimes sostenuta dalla sezione di Biella del Cai e a cui ha partecipato il biellese Gian Luca Cavalli. L'incontro consentirà di ripercorrere le sue esperienze di alpinista entro scenari spettacolari. Nardi interloquirà con il giornalista de La Stampa Enrico Martinet e con Angelica Sella, Presidente della Fondazione che porta il nome di famiglia.

«Come non essere emozionato» confessa Nardi. «Per me è la prima visita a Biella ed entrare alla Fondazione Sella, poter vedere le immagini originali scattate da Vittorio Sella, che della fotografia di montagna è stato un pioniere, è come entrare in un santuario». Nardi, oltre a essere alpinista, è anche un validissimo fotografo e le sue spedizioni e arrampicate hanno un ampio corredo iconografico di cui è in parte autore. Nardi racconterà l’importanza dell’aspetto esplorativo dell’alpinismo - per questo  nel team che lo segue nelle spedizioni extraeuropee ci sono cineoperatori, come Luigi Martini per Transilimes - e anche quello culturale nell’incontro con le popolazioni locali. Nella serata di #fuoriluogo verranno proiettati frammenti del film “Verso l’ignoto” che documenta il tentativo durato tre anni di salita invernale al Nanga Parbat e immagini dell’ultima spedizione in Karakorum. Nardi, in entrambi i contesti, ha saputo rinunciare alla vetta: alla prima invernale del Nanga Parbat (8126 m.) e alla vetta inviolata del Linksar (7041 m.) in Karakorum.  Lo ha fatto per motivi di sicurezza. L’essenza del suo alpinismo la si può leggere nel post che lo stesso pubblicò dopo la rinuncia al Nanga Parbat sul suo blog: «Per tre anni ho tentato di fare qualcosa di nuovo, per questo ero disposto a molto, la vetta viene dopo, è il viaggio e l’esperienza che ne deriva che sono importanti». Una filosofia di alpinismo la sua che testimonia un approccio, oltre che fisico come è necessario che sia, anche “mentale”. «Alleno molto la mente  per capire quali siano i limiti oltre ai quali non ci può spingere. Non è solo questione di meteo o condizioni oggettive di sicurezza. Mi è capitato di leggere i segnali meteo in modo sbagliato e, una volta sceso, di vedere un’evoluzione in positivo ma non ho mai avuto rimpianti per una rinuncia. Evidentemente dentro di me c’era qualcosa che mi portava a mettermi in allerta». Nardi, che per la spedizione Translimes ha lavorato tre anni per ottenere i permessi dal Pakistan per accedere nelle valli Kondus e Kaberi del Karakorum, un’area pressoché inesplorata, è davvero curioso di poter confrontare la sua esperienza con quella testimoniata dalle immagini dell’archivio Sella. Tra i  primi esploratori del Karakorum ci fu infatti proprio  Sella.  «Aver potuto visitare quella regione è stato davvero un grande privilegio. L’ultima spedizione che vi era stata era quella americana negli anni ‘90. Prima c’era stato un tentativo di salita del Linksar da parte di alpinisti giapponesi, nel 1978. Il nostro cuoco, ormai anziano, ci ha raccontato che, ai tempi, era stato loro portatore». Ora le valli, sul confine tra il Kashmir pakistano e indiano, rischiano di nuovo di essere chiuse per un riacutizzarsi delle tensioni tra i due stati. «Avevamo ideato Translimes, ovvero tra i confini, per far passare un messaggio di pace auspicando un futuro sviluppo turistico e quindi un progresso economico per le popolazioni locali. Un futuro per il quale ho ancora speranza».

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