Gelo e flussi eccezionali: questo è l’inverno più lungo

Dicono i volontari: «Siamo impegnati a lottare contro il freddo, che rischia di spezzare molte vite. Teniamo la porta aperta per chi non ha una casa»

Pubblichiamo di seguito la testimonianza di Marco Cassisa, a nome della rete di Emergenza Freddo.

«Quando abbiamo iniziato il 20 novembre, dopo solamente una decina di notti i posti letto si sono riempiti tutti. Abbiamo capito che l’inverno per il nostro progetto di accoglienza sarebbe stato lungo, ma anche che lo avremmo affrontato con la consapevolezza e l’esperienza di chi ha alle spalle 12 edizioni portate a termine senza lasciare nessuno fuori dalla porta». C’è un misto di orgoglio e preoccupazione nelle parole e nello sguardo dei volontari di Emergenza Freddo con cui ho parlato per avere qualche notizia di questa 12ª edizione, caratterizzata da un significativo flusso di senzatetto ospitati nelle diverse strutture aperte, che arriva dopo una edizione 2022 molto complessa dal punto di vista organizzativo e che, da quest’anno, ha un assetto istituzionale differente da prima.

Ma procediamo con ordine: il progetto 2022/2023 era stato ribattezzato, con amara ironia “tempesta perfetta”: al gelo invernale si era unito un inatteso ed estremamente consistente flusso di senza fissa dimora in ragione di un forte affanno delle strutture amministrative centrali e periferiche preposte alla gestione dei flussi migratori. Su una base già significativa di senza fissa dimora si sono aggiunte persone dal background migratorio che erano di fatto sospese nel limbo tra lo sbarco e l’accesso ai documenti e alle eventuali strutture di accoglienza dei migranti. Quest’anno si temeva un bis che, malauguratamente ma puntualmente si è verificato: tutto pieno dopo pochissimo dall’inizio e sistema dell’Accoglienza Freddo che si sobbarca le carenze di altri contesti dell’accoglienza sul territorio.

Fortunatamente il sistema è rodato, robusto e negli anni estremamente capace di rispondere con prontezza ed efficacia a quelli che si potrebbero chiamare, osando un po’, “urti della Storia” visto che le questioni non nascono certo nei nostri dintorni ma sono particelle di processi globali.

«Abbiamo già visto occhiate preoccupate trasformarsi in sguardi di gratitudine, abbiamo sentito voci flebili e di poche parole sciogliersi in toni più aperti e diretti» proseguono i volontari. «Siamo nuovamente impegnati a lottare contro il freddo che rischia di spezzare vite; anche quest’anno stiamo tenendo aperta una porta per tutti coloro che non hanno una casa e trovano così un tetto sulla testa, stanze riscaldate, un pasto cucinato e caldo».

Tra il 2019 e il 2022 il “Sistema Marginalità” che dal 1 novembre 2023 è in capo al Comune di Biella, il nuovo assetto istituzionale di cui si accennava poco sopra, aveva tolto dalla strada 50 persone, puntando tutto sui progetti “housing first”, mettendo cioè la dimora al primo posto per permettere a tanti tante di ricostruire la loro esistenza, uscire dal margine, trovare al forza per ripensare a un futuro in termini positivi di autodeterminazione.

In tutto questo il lavoro congiunto di istituzioni pubbliche, soggetti del privato sociale ed enti del Terzo Settore dà al nostro territorio una rappresentazione chiara di una rete che riesce a dare risposte, pur nella continua intensità di azione che un lavoro cosi capillare e privo di standard comporta.

Finora nei posti letto “invernali” aperti grazie al progetto e aggiuntivi a quelli sempre attivi per i senza fissa dimora, sono transitate 64 persone (7 le donne). Erano state 102 alla fine dello scorso anno, con 3 mesi di progetto in più rispetto ad oggi.

Ho trascorso una serata negli spazi all’ultimo piano del Seminario di Biella, messi a disposizione da Caritas e dove possono trovare ospitalità 8 persone. Ci sono stanze doppie, un armadio per ciascun ospite, bagni con docce calde, una sala comune dove consumare insieme la cena e la colazione. Due operatori della Cooperativa Maria Cecilia mi accompagnano e mi raccontano che le persone sono migranti pakistani in attesa dei documenti o di esser inseriti nei percorsi dedicati. La lingua è l’inglese, che a sua volta viene tradotto da uno degli ospiti in urdu a beneficio degli altri per evitare di perdere il senso delle comunicazioni. Fa eccezione un ragazzo poco più che ventenne, congolese, con il quale sfodero un traballante ma sufficiente francese. Tutti desiderano lavorare, tutti sono sottoposti una snervante attesa lunga mesi, inanellando giorni dopo giorni in cui non è loro consentito fare nulla che non sia organizzato dal progetto, ma anche qui, oltre all’accoglienza, le opzioni sono poche: nelle 2 ore di centro diurno (17-19) un po’ di italiano, le pratiche per il permesso soggiorno, le informative sul lavoro nero e lo sfruttamento attraverso un altro progetto regionale che si chiama “Common ground”. E il tempo passa, logorando in profondità lo spirito di chi ha solo voglia di vivere meglio di come gli è toccato in sorte di fare fino ad adesso.

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