La morte di Berlusconi

È morto stamattina all’ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da venerdì scorso, Silvio Berlusconi. Con lui si chiude una pagina della storia italiana. Berlusconi ha segnato infatti almeno 40 anni della vita pubblica italiana. Ha rappresentato il self made man, l’imprenditore di successo che sa crearsi dal nulla. Nasce con l’immobiliare, poi passa alla finanza, alle TV, all’editoria. Del suo “impero” farà parte anche la grande distribuzione con La Standa che diventa «la casa degli italiani».  Diventa editore de “il Giornale” di Indro Montanelli garantendo ossigeno alla testata che racconta un Italia diversa e non assoggettata a una narrazione in cui la sinistra ha assunto una sempre maggior egemonia culturale. Il suo essere è “pop”. Negli anni ‘80 è espressione di quell’edonismo reganiano e tacheriano. È la Milano da bere, quella del Drive In e dei paninari. Nel 1986 comperò il Milan, la sua squadra del cuore, salvandola dal fallimento e portandola sul tetto del mondo con le vittorie di tutti i trofei possibili e immaginabili. La storia, quella con la “S” maiuscola, macina e gli anni ‘809 si concludono con il crollo del Muro di Berlino e i blocchi contrapposti. Presto crollerà il sistema del pentapartito che reggeva l’Italia. I partiti tradizionali, Dc, Psi,  Pri, Pli, e Psdi,  saranno travolti dalle inchieste giudiziarie. Nel 1994, per la prima volta, il Partito comunista, nel frattempo divenuto Pds con la svolta della Bolognina di Acchille Occhetto, può avere i numeri per governare da solo.  Berlusconi, “scende in campo”. Il suo è un rompere gli indugi, una rottura del tradizionale rapporto che c’è tra impresa e politica. Riuscirà in pochi mesi a mettere insieme la galassia di partiti che non si riconoscono nella sinistra e vincerà le elezioni. Le elezioni le vincerà con la promessa della “rivoluzione liberale”. Presto si accorgerà dell’irriformabilità del sistema Italia. Le grandi riforme, da quella di una giustizia garantista, a quella costituzionale, resteranno sulla carta. Tra governo e opposizione la sua parabola è durata 30 anni. Con lui si chiude la Seconda Repubblica. Il giudizio sul suo lascito? Col Manzoni possiamo dire: «ai posteri l’ardua sentenza».

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