Parole - Il nostro posto che non c'è più

Non servirà probabilmente ad aprire un dibattito sull’opportunità o meno di mantenere l’attuale collocazione per la fiera di Biella, ma certo la lettera di un gruppo di studenti universitari di Città di Studi, urtati dal fatto di dover «parcheggiare a centinaia e centinaia di metri di distanza», ha scatenato un mezzo putiferio. Almeno su Facebook, la stanza virtuale che è sempre più il bar 2.0 dove ci si ubriaca di parole. E i commenti, se mai li avessero letti, non devono aver rinfrancato quei giovani, respinti con perdite dai like di disapprovazione, per dirla all’acqua di rose. A nessuno sembra essere piaciuta la posizione degli studenti che al contrario volevano esprimere il loro mancato gradimento sulla posizione nella quale la fiera li costringe a tenere l’auto al mattino. Ora, senza entrare troppo nel merito della questione, l’aspetto che una volta di più emerge è una propensione al lamento quasi endemica di e su un territorio che invece dovrebbe aprirsi verso nuovi orizzonti interni ed esterni. E sapere che ora sono pure i giovani, per di più probabilmente non di queste parti, a storcere il naso di fronte a qualcosa è significativamente demotivante. Molto probabilmente gli studenti non hanno tutta questa ragione e pensare che a turbare la loro serenità all’ingresso a scuola sia un posteggio più o meno distante certo può far sorridere. Il punto, prima che il contenuto della lettera, però resta il fatto che l’abbiano scritta. E pensata: ecco, questo è il fatto che dovrebbe farci riflettere su quale strada si stia prendendo. Indipendentemente da quanto è distante il posto in cui abbiamo lasciato l’auto.

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