Storia. Un anno in Siria: don Mario Foglia Parrucin rientra a Valle Mosso con i frutti di questa esperienza

Nulla avviene per caso ma qualche volta i disegni della Provvidenza si possono leggere negli avvenimenti che ci capitano: così è per don Mario Foglia Parrucin, parroco di Valle Mosso, che, dopo un anno in Siria, nel monastero di Deir Mar Musa che era stato rifondato da padre Paolo Dall’Oglio, è tornato a casa, ricco nello spirito ed entusiasta. Il suo ritorno a casa è stato proprio lunedì vigilia della festa di San Francesco che fu il primo a superare, durante le crociate, la logica di contrapposizione tra cristiani e musulmani e che cercò la via del dialogo con quelli che gli altri chiamavano “pagani” e lui “fratelli in Cristo”.
Don Foglia, com’è ritornare ? Ritornare vuol dire riprendere il cammino tentando di far tesoro di quanto ho vissuto in quella terra e di seminare occasioni di fraternità proprio come ho visto a Deir Mar Musa, dove la parola chiave è accoglienza a tutti senza distinzione di “razza” o religione. Sono molto contento dell’esperienza vissuta in quel monastero a 1300 metri nel deserto, mi sono sentito benvoluto e ho voluto bene ai fratelli e alle sorelle che ho incontrato perché ho sperimentato cosa vuol dire “vedere gli altri con gli occhi di Dio” superando le differenze.
In che modo concretamente si può fare?
A Deir Mar Musa l’accoglienza si vive quotidianamente: il monastero è integrato nel territorio dove era stato costruito, e fa parte della diocesi siro-cattolica di homshamanebek; la liturgia è soprattutto in arabo classico anche se talvolta viene usato il siriaco, che potremmo paragonare al nostro latino. La gente usa soprattutto il dialetto siriano e io ho cercato di imparare l’arabo classico e anche un po’ di dialetto. So di balbettare solo qualcosa, ma questo non mi ha impedito di comunicare soprattutto con la lingua del cuore fatta di gesti e soprattutto sorrisi, piccole gentilezze, sguardi accoglienti, scambiati magari facendo qualcosa di semplice e di pratico come lavare i piatti con gli ospiti o mangiando con gli operai arabi che condividevano la colazione con noi perché tutto avviene nella gratuità. Da giugno il cenobio è stato di nuovo aperto a tutti, dopo la guerra e dopo il Covid e, anche se in misura ridotta perché è salito il prezzo dei carburanti e costa di più con i tra- sporti venire fin lassù, vengono ogni giorno accolti ospiti e si sente parlare in più lingue: in francese e in inglese, ma anche in italiano perché alcuni monaci e monache hanno studiato teologia alle Facoltà Pontificie a Roma.
Che stile ha allora l’accoglienza?
La semplicità, la condivisione, il rispetto, la comunione fondate sull’esser figli dell’unico Dio e del padre Abramo, sentirsi ”fratelli tutti” come dice Papa Francesco. Si può pregare insieme: nel monastero ad esempio in una parte della chiesa è raffigurata una colomba con la calligrafia araba che richiama il Dio clemente e misericordioso e che è rivolta verso la Mecca il luogo di culto islamico, così i musulmani entrando in chiesa si sentono accolti e un po’ anche a casa loro, come in moschea. Si può riscoprire come aveva fatto San Francesco una dimensione di spiritualità che scandisce il tempo della preghiera cinque volte al giorno come fanno i musulmani richiamati al compito dal muezzin o i cristiani tre volte al dì con la guida delle campane per la preghiera dell’Angelus e si vive seguendo il Signore con gli insegnamenti di padre Paolo Dall’Oglio che nel suo testo “innamorato dell’Islam e credente in Cristo” spiega come si sentiva chiamato ad andare verso l’Islam per amore di Gesù. E la diversità diventa occasione di arricchire la propria fede cristiana grazie alle sfumature delle varie minoranze cattoliche come i maroniti, i siro-cattolici, i greco melchiti. Ad esempio i cristiani del Medio-Oriente nella professione di fede dicono: “noi crediamo” anziché “io credo” per sottolineare la fede comunitaria … e ancora si scopre la varietà di vivere per esempio la vocazione presbiterale con alcuni sacerdoti sposati (come i diaconi da noi) oppure durante l’invocazione “Dio santo, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi” si fa la prostrazione con il volto a terra proprio come avviene in moschea.
E questo stile di vita potrà mantenerlo anche qui in Valdilana?
Sì, spero. Cercando le occasioni di in- contro e di scoperta dell’altro, ad esempio nei confronti dei fratelli e delle sorelle dell’Islam cercando di tessere rapporti di amicizia con i centri islamici del nostro territorio; mi piacerebbe andare a visitare qualche famiglia musulmana quando festeggiano le loro feste (fine ramadan, festa del sacrificio): è la Chiesa in uscita… per toccare con mano l’ospitalità abramitica come ho sperimentato in Siria. La fraternità costruisce ponti, va incontro, ed è il metodo di Gesù che l’ha vissuta e seminata ovunque e verso tutti.
Un po’ come hanno fatto a Valle Mosso, senza di lei?
Dico grazie a tutti i miei fratelli e sorelle che nelle tre comunità parrocchiali hanno mandato avanti la pastorale ordinaria dando in assenza del parroco un grande esempio di servizio e di responsabilità; ringrazio i sacerdoti e i diaconi che hanno dato la loro disponibilità per la celebrazione delle Messe domenicali, per i funerali e per i battesimi e al nostro vicario di zona che ha adempiuto le questioni di rappresentanza legale. L’esperienza di questo anno certamente ci permette di guardare con fiducia al futuro, dove la collaborazione tra preti, dia- coni e laici è fondamentale per vivere la sinodalità indicataci da Papa Francesco. Ringrazio il nostro Vescovo Roberto che mi ha permesso di fermarmi un anno volendo che fosse un anno di scambio tra Chiese.
Ed ora che progetti ha?
Riprendo il cammino pastorale cercando di seminare tutto il bene che ho abbondantemente ricevuto, facendo tesoro dell’esperienza dei miei parrocchiani che assumendo maggiori responsabilità in assenza del parroco hanno aperto uno sguardo di speranza per il futuro. Testimonierò dell’utilità di sospendere il ministero dopo tanti anni per rinnovarsi, lasciando responsabilità, legami, terra e patria per godere delle ricchezze delle altre Chiese e popoli e non da ultimo, come già anche prima, spero di tornare presto a vivere in fraternità.
ANNALISA BERTUZZI

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