Droga in carcere, maxi operazione di Polizia e Procura. Coinvolti 33 detenuti, 12 famigliari e 6 agenti

«C'è più droga qui nel giorno di Capodanno che a Porta Palazzo». «Questo è il Paese dei Balocchi». «Qui puoi trovare quello che vuoi». «Se non trovi la droga fuori la trovi al carcere di Biella». Sono solo alcune frasi riferite negli interrogatori, che sintetizzano la situazione che una maxi operazione della squadra mobile della polizia, coordinata dalla Procura di Biella, ha trovato all'interno della casa circondariale di via dei Tigli. Un'indagine partita dalla nostra città nel 2019 e che ha portato poi a operazioni in altre 20 province, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, con l'impiego di oltre 250 persone.
A raccontare nei dettagli l'intera operazione sono stati il procuratore capo Teresa Angela Camelio, affiancata dai sostituti procuratori Sarah Cacciaguerra e Francesca Ranieri, il questore Claudio Ciccimarra e il dirigente della Squadra Mobile, commissario capo Giovanni Buda.
Il Gip di Biella ha accolto le richieste di misura cautelare e ha disposto l'applicazione della misura cautelare di custodia in carcere nei confronti di 33 persone, gli arresti domiciliari nei confronti di 12 famigliari di detenuti e 3 guardie carcerarie, mentre altre 3 guardie sono in sub iudice, in attesa degli interrogatori di garanzia.

I REATI CONTESTATI
I reati contestati sono diversi: introduzione e cessione di sostanze stupefacenti nel carcere come hashish, cocaina, eroina, crack, farmaici oppioidi (subutex e contramal), anabolizzanti; introduzione di telefoni ceullari, sim card e relativi apparati utilizzati ai fini dello spaccio; corruzione per atti contrari ai propri doversi; istigazione alla corruzione; ricettazione; estorsione; falso in atto pubblico; arresto illegale.
La squadra mobile aveva inizialmente indagato 89 persone, ma solo per 56 è stata chiesta e ottenuta la misura cautelare: da parte degli inquirenti è stata fatta a monte un'accurata scrematura, per sottoporre al Gip solo quelle posizioni dove i gravi indizi di colpevolezza erano supportati da elementi di prova granitici e accertati. Questo vale per i detenuti, ma anche per le guardie, che dall'iniziale numero di 40 si sono ridotte a 6.

LE FASI DELL'INDAGINE
L'indagine si è svolta in due fasi. La prima si è soffermata soprattutto su un detenuto che aveva un ruolo egemonico nell'ambito dello spaccio, sui suoi famigliari, sui soggetti concorrenti e su alcune guardie competenti. Nella seconda fase si è assistito alla creazione di mercati illeciti paralleli gestiti da altri detenuti, al punto che è stata accertata l'esistenza di altre piazze di spaccio a seconda della tipologia di merce comprata e venduta.
L'arresto in flagranza di una persona trovata in possesso di hashish e di telefoni cellulari vicino alle mura del carcere e le sue successive dichiarazioni hanno consentito di constatare che l'attività di spaccio aveva una portata molto più ampia di quella che era inizialmente prevista.

LA PERQUISIZIONE DEL 2021
Il vero spartiacque, secondo la Procura, è stata la perquisizione in carcere dell'aprile 2021, eseguita dalla squadra mobile di Biella: sul momento ha avuto un esito fallimentare perché ha permesso di rinvenire solo telefoni cellulari e schede Sim nei confronti di tre detenuti, ma tempo dopo si è capito il perché. I detenuti infatti, in seguito a dichiarazioni rese in sede di interrogatorio e sovrapponibili a informazioni testimoniali, erano stati avvertiti quattro giorni prima della perquisizione e hanno avuto il tempo di occultare la droga e altro materiale anche servendosi di soggetti che, dietro pagamento, si occupavano di nascondere le sostanze: si parla di diversi grammi di hashish e cocaina, micro telefoni, subotex, addirittura un I phone 6.

LE PIAZZE DI SPACCIO
In questo modo l'indagine ha consentito di ricostruire una fitta e intricata rete di scambi illeciti tra il 2019 e il 2023, ha fatto emergere l'esistenza di diverse piazze di spaccio parallele, gestite dai tenuti con la complicità di guardie concorrenti o corrotte; l'obbligo per altri detenuti ad acquistare il materiale illecito a prezzi fuori mercati (smartphone venduti a 1.500 euro l'uno, microtelefoni a 500 euro, droga pagata 10 volte tanto rispetto al mercato esterno). Questo ha resto l'attività all'interno del carcere estremamente redditizia.
I traffici non facevano capo a un'unica persona o a un'organizzazione criminosa, ma vi erano vari gruppi di detenuti che si servivano anche della collaborazione di parenti o amici.

LE MODALITA'
Le modalità di introduzione della droga avvenivano in vari modi: mediante l'arrivo di pacchi postali riportanti mittente fittizio e destinatario non corrispondente al reale destinatario; lanci di materiale illecito dalle mura di cinta; colloqui con i famigliari; l'ausilio di personale della polizia penitenziaria, i cosiddetti “cavalli blu”, senza i quali non sarebbe mai stato possibile introdurre quantitativi ingenti di droga (si parla anche di carichi da 1,5 kg). A questo proposito l'indagine ha evidenziato che ciascun agente percepiva anche sostanziose somme di denaro (da 600 a 1.500 euro a pacco), a seconda della droga e dei telefoni e delle modalità.

TOSSICODIPENDENZA IN CARCERE AL 90 PER CENTO
L'attività di spaccio ha reso prioritaria la necessità di individuare il pubblico ufficiale corrotto e non solo concorrente e ha consentito di appurare che la percentuale di tossicodipendenza, ovvero di sindrome astinenziale, nella popolazione detenuta è pari al 90 per cento: durante l'indagine più volte è sorto l'interrogativo di come fosse possibile che molti detenuti abbiano rischiato l'overdose e siano stati presi in carico dal Ser.D successivamente all'ingresso in carcere e senza che prima fossero mai stati tossicodipendenti.

 

 

 

 

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