Inchiesta della Digos sulle frange violente del tifo juventino. Ultrà biellese indagato: scatta il Daspo

E in manette finisce Geraldo (Dino) Mocciola leader degli ultras Drughi. L’uomo, nel 1989, fu coinvolto nella rapina a un portavalori a Greggio finita nel sangue con l’uccisione di un carabiniere. Accuse pesanti

«Quella dei Drughi era un'organizzazione di tipo militare: le persone, anche più fidate, venivano allontanate se non rispondevano alle indicazioni del capo indiscusso Dino Mocciola. Queste sono persone che fanno della violenza uno stile di vita. Il tifo è un pretesto. Nemmeno la presenza dei bambini li fermava». Così ieri in conferenza stampa il procuratore aggiunto di Torino Patrizia Caputo che, assieme al magistrato Chiara Maina, ha coordinato l'inchiesta “Last banner” (l’ultimo striscione) sui gruppi ultrà bianconeri che avrebbero ricattato la squadra con cori razzisti. E un appartenente dei Drughi è anche il biellese di 45 anni che ieri mattina si è visto perquisire casa e luogo di lavoro dagli agenti della locale Digos, coordinati dal commissario capo Alessandro Corbetta. Gli agenti della Digos hanno cercato striscioni e altro materiali riconducibile al tifo organizzato contenenti frasi di stampo razzista. «Nel corso della perquisizione non abbiamo trovato nulla. Il soggetto è comunque stato indagati per violenza privata, continuata e aggravata in concorso per le condotte tenute specialmente nella scorsa stagione» spiega Corbetta. In ragione di queste accuse il Questore di Torino, competente territorialmente, ha disposto per il biellese un Daspo (ovvero il divieto di entrare in uno stadio) per quattro anni. Ma Biella viene sfiorata da questa inchiesta — dodici arresti, una quarantina di indagati con accuse che vanno per associazione a delinquere, estorsione aggravata, autoriciclaggio e violenza privata — anche per via dell’arresto di Geraldo Mocciola, detto Dino, protagonista nell’89, insieme a due carabinieri in servizio a Varallo, della rapina a un portavalori a Greggio finita in tragedia con l’uccisione del loro collega l’appuntato Salvatore Vinci. Mocciola, all’epoca 26enne, con i due complici cercò la fuga in Baraggia. I tre si nascosero nei capannoni del demanio militare tra Brusnengo, Masserano e Roasio. Tra Biellese e Vercellese vi fu una vera e propria “caccia” all’uomo durata per un’intera giornata. Uno dei due carabinieri non reggendo alla pressione del momento si sarebbe suicidato, Mocciola con l’altro militare sarebbe stato catturato in serata. Secondo le cronache dell’epoca Mocciola avrebbe solo assistito alla sparatoria costata la vita all’appuntato Vinci. Scontata la pena per quei fatti sarebbe tornato libero per dedicarsi al tifo da ultrà. Anche lui da giovane, avrebbe avuto aspirazioni ad entrare nelle forze dell’ordine, aspirazioni però andate deluse. Già prima dei fatti dell’89 Mocciola aveva collezionato una serie di precedenti provocati da violenze negli stadi dove si recava con altri conoscenti ultras juventini. Nel 1983 a aggredì due tifosi nerazzurri dopo Juve-Inter e nel novembre del 1986, a Firenze, prese a sprangate un carabiniere che lo aveva fermato mentre stava per dare l’assalto, insieme ad altri, ultras, ai tifosi della Fiorentina.

Le indagini
DODICI ARRESTI E PERQUISIZIONI IN TUTTA ITALIA
Sono dodici i capi ultrà della Juve arrestati nell'ambito dell'operazione “Last banner” (ultimo striscione) della Digos di Torino. In manette sono finiti Geraldo Mocciola detto Dino, leader dei Drughi, Salvatore Cava, Domenico Scarano, Umberto Toia, leader di Tradizione, Luca Pavarino, Sergio Genre. Per Fabio Trincchero, Giuseppe Franzo, Christian Fasoli, Roberto Drago sono stati disposti i domiciliari. Misura cautelare dell'obbligo di dimora invece per Massimo Toia e Massimo Corrado Vitale. Le dodici misure cautelari sono scattate nei confronti dei capi e dei principali referenti dei Drughi, di Tradizione-Antichi Valori, dei Viking, del Nucleo 1985 e di Quelli di via Filadelfia, indagati a vario titolo per associazione a delinquere, estorsione aggravata, autoriciclaggio e violenza privata. Perquisizioni sono state eseguite a Biella, Alessandria, Asti, Como, Savona, Milano, Genova, Pescara, La Spezia, L’Aquila, Firenze, Mantova, Monza, Bergamo. L’indagine nasce nell’ambito di un lungo monitoraggio dei gruppi ultrà, con intercettazioni e servizi di osservazione negli stadi: documentati episodi di violenza e un fiorente giro di affari frutto della vendita illegale di biglietti. L’inchiesta, partita in seguito a una denuncia della stessa società, è coordinata dal pubblico ministero Chiara Maina e dal procuratore aggiunto Patrizia Caputo. Secondo l’accusa i capi di questi gruppi avevano costituito un’associazione a delinquere che ricattava esponenti della Juventus per cercare di continuare ad avere biglietti per le partite all'Allianz Stadium e gestire così il bagarinaggio. Questo flusso di biglietti — che era una delle principali fonti di autofinanziamento degli ultrà — era stato interrotto dalla società alla fine del campionato 2017-2018 innescando azioni di protesta all’interno dello stadio stesso. Tra le reazioni, sciopero del tifo e cori razzisti al solo scopo di far sanzionare la società. Dall'indagine è emerso inoltre che uno dei principali gruppi del tifo bianconero, i Drughi, riusciva a recuperare centinaia di biglietti per le partite allo Stadium con una «capillare attività» in tutta Italia, grazie alla compiacenza di alcuni titolari di agenzie e negozi abilitati alla vendita dei tagliandi delle partite della Juve. Di certo uno dei personaggi di spicco è Geraldo Mocciola, finito in carcere anni fa per l’omicidio di un carabiniere. Agli inizi del 2005 Mocciola, dopo aver scontato la pena, grazie all’appoggio criminalità organizzata, sarebbe riuscito a riportare in auge il gruppo dei Drughi, consolidando la sua leadership all’interno della curva. Per la Procura le parti offese risultano essere la stessa società bianconera e i tifosi che avevano rinunciato, per non subire violenza, a frequentare lo stadio.

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