Omicidio di Chiavazza. Interrogati i 4 arrestati: «Gabriele non lo abbiamo ucciso»

«Gabriele non lo abbiamo ucciso, Gabriele è morto per overdose». I quattro arrestati per l’omicidio di Gabriele Maffeo, 33 anni, e la soppressione del suo cadavere, ritrovato in un cassonetto dell’immondizia in via Felice Coppa, rione Croce, a Chiavazza attorno alle 19 di sabato sera, hanno fornito una più o meno identica versione dei fatti.
Giuseppe Bonura, 42 anni, Marina Coda Zabetta, 34, Alessandro Solina, 32, e Simone Perra, 24, lo hanno fatto oggi davanti al giudice Paola Rava, assistiti dai loro difensori (l’avvocato Marco Romanello per Bonura e Perra, l’avvocato Cristian Conz per Coda Zabetta e Solina). I quattro si sono quindi dimostrati collaborativi e hanno raccontato la loro verità.
Tutti hanno negato l’omicidio e anche la volontà di occultare il corpo. Dai loro racconti Gabriele Maffeo sarebbe morto a seguito di una overdose.
Temendo che chiamare la polizia avrebbe avuto conseguenze non felici - alcuni di loro avevano già avuto guai con la giustizia - avrebbero cercato di spostare il suo cadavere nel vicino parco pubblico per farlo ritrovare su una panchina.
Nessun omicidio, nessun pestaggio, quindi. Le ecchimosi e le tumefazioni trovate sul corpo di Gabriele Maffeo sarebbero tutte post mortem, legate al tentativo di trasportare il suo cadavere fino ai vicini giardini. A dire se i quattro hanno detto la verità potrà essere solo l’autopsia affidata dalla Procura all’anatomapatologo Monica D’Amato. L’esame sarà eseguito giovedì mattina.
Cosa sarebbe dunque accaduto nell’appartamento al civico 29 di via Felice Coppa dove Giuseppe Bonura, con precedenti per spaccio, da qualche tempo viveva?
In quell’alloggio di edilizia popolare, affidato a un soggetto del tutto estraneo ai fatti e che da tempo vive altrove, Bonura, insieme alla fidanzata Marina Coda Zabetta, aveva accolto nella serata di giovedì Gabriele Maffeo.
Gabriele era un conoscente di vecchia data, un comune passato di tossicodipendenza anche se da un anno e mezzo aveva intrapreso un percorso di disintossicazione in una comunità di recupero a Moncalieri. La coppia lo aveva invitato a cena. Nel dopocena, secondo quanto emerso negli interrogatori di garanzia, Gabriele si starebbe appartato in bagno e lì si sarebbe iniettato endovena una dose di eroina. Solo la mattina dopo, il venerdì, Bonura e la fidanzata lo avrebbero trovato riverso a terra ormai senza vita, con a fianco la siringa. Un’overdose quindi, la causa della morte.
Tra i due fidanzati - va sottolineato che Perra e Solina inizialmente sarebbero stati estranei ai fatti - si scatena il panico. Cosa fare con un morto in casa? Tra i due vi sarebbe stata una discussione: con lei che avrebbe voluto chiamare subito la polizia e lui che, sottoposto a regime di pena sostitutiva della detenzione per precedenti di spaccio, preferisce trovare soluzioni alternative; quanto meno prendere tempo.
Tempo che inizia a scorrere anche se probabilmente i due si trovano in una dimensione spazio tempo dilatata, condizione che può essere stata favorita dall’assunzione di droga e alcool. Per Bonura chiamare la polizia significa comunque finire in carcere. L’idea allora diventa quella di trasportare il corpo dell’amico al parco pubblico non lontano e lasciarlo su una panchina.
Si rendono conto però che in due è più facile a dirsi che a farsi - Gabriele è ben piantato -. C’è un conoscente che potrebbe aiutarli e che bazzica per Chiavazza. Entra allora in scena Simone Perra. Simone, 24 anni, è l’unico a non avere precedenti anche se pure non sarebbe estraneo al mondo della tossicodipendenza. Simone raggiunge la coppia in via Coppa. Gli spiegano cosa c’è da fare. Probabilmente l’intera giornata di venerdì trascorre nel pianificare il trasporto del corpo senza vita di Gabriele. Nessuno dei tre ha un’auto. Nelle vicinanze della palazzina trovano una carriola, potrebbe essere lo strumento che fa a loro caso… ma come evitare di farsi scoprire? Poi il corpo va avvolto e trovano un telo di plastica con cui lo fanno su e lo chiudono con dei nastri. Quando provano a spostare il pesante corpo di Gabriele si rendono però conto che in tre ancora non ce la fanno.
Hanno bisogno di altre braccia. Intanto è sabato.
Chiamano allora un altro conoscente, Alessandro Solina. Lui è fisicato ed è l’unico che, talvolta, ha a disposizione un’auto; quella del padre. Anche Solina, ha in passato avuto guai con la legge - non per spaccio ma per maltrattamenti -. L’automobile però quel giorno non riesce ad avercela. Ma nel cortile della palazzina c’è un cassonetto dell’immondizia. Matura allora nei quattro l’idea di utilizzare il cassonetto per il trasporto del cadavere di Gabriele. Il cadavere lo trascinano giù per le scale e lo depongono nel bidone. È in questi passaggi che si sarebbero create le ecchimosi e le tumefazioni. Quando arrivano al parco sono tra le 8 o le 9 della mattina e tra i vialetti c’è chi corre, chi porta a spasso il cane, chi passeggia. Impossibile portare a compimento il piano. I quattro decidono quindi di battere in ritirata riportando il cassonetto accanto alla palazzina per riprovarci la sera quando farà buio.
Prima però di poterci riprovare il corpo nel cassonetto viene ritrovato da chi il cassonetto lo ha aperto per gettarci l’immondizia.
Scatta l’allarme. Iniziano le indagini. I quattro, che forse avevano pensato che nessuno potesse essersi insospettito dai loro movimenti e dalle discussioni provenienti dell’alloggio, vengono indicati da testimoni alle forze dell’ordine e poco dopo il ritrovamento del corpo di Gabriele Maffeo scattano i fermi e le perquisizioni.

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