Pagava le supercar con assegni a vuoto: “re” della truffa condannato, ma i reati si prescriveranno

Quello che si è concluso lunedì a Torino con la condanna a quattro anni di reclusione per un 59enne, accusato di truffa e ricettazione, ha il sapore di essere un processo beffa per le numerose vittime dei suoi raggiri. Molti dei fatti contestati all’uomo, un passato criminale con diverse condanne ma un presente in una comunità di recupero - per questo motivo non indichiamo la sua identità -, sono infatti già prescritti.
All’uomo sono state contestate ben 11 truffe e altrettante ricettazioni. Tra il settembre del 2011 e il luglio del 2013, quindi in meno di due anni, il soggetto aveva acquistato - acquistato si fa per dire - dieci automobili e una fornitura di mobili pagando il tutto con assegni inesigibili perché falsi. Le truffe, tranne si sono prescritte tutte ancora prima dell’inizio del processo, lo scorso febbraio. Sono rimaste in piedi le accuse, più gravi, quelle di ricettazione.
A difendere il 59enne sono stati gli avvocati Ugo Fogliano e Guglielmo Ramella. I capi di imputazione parlano anche di soggetti terzi, complici mai individuati e che difficilmente lo saranno ora. È infatti facile immaginare che dietro l’agire dell’uomo si nascondesse una rete criminale che, entrata in possesso delle vetture, sapeva poi come fare a farle sparire. Si trattava di auto potenti e di lusso: tre Alfa Romeo, tre Audi, tre Bmw e una Mercedes. Le vetture venivano acquistate per lo più da privati residenti nella provincia di Torino con un assegno circolare. Le transazioni in media avevano un valore superiore ai 10 mila euro. Le vittime scoprivano di essere state raggirate solo al momento di incassare l’assegno, quando in banca veniva loro comunicato dell’impossibilità a procedere perché falso.
Quasi impossibile risalire anche ai complici per la ricettazione degli assegni falsi. Un procedimento giudiziario questo che si è concluso nel primo grado di giudizio che ha il sapore della beffa per chi si è visto truffare e che non otterrà mai giustizia. Per arrivare a una sentenza in giudicato ci sono solo più otto mesi. Impossibile pensare che in così poco tempo possa celebrarsi l’appello e un eventuale ricorso in cassazione.
Un processo che è un esempio dei problemi di cui è afflitto il sistema giudiziario italiano.
Non è possibile che un fascicolo faccia polvere per nove anni prima di arrivare in un’aula giudiziaria.

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