«K2. Ugo Angelino, nei fatti capo spedizione»

Alpinismo extrauropeo Venerdì 4 aprile, alle 21, a Palazzo Ferrero, Massimo Palazzi, racconterà l’uomo che 70 anni fa fu tra i protagonisti della spedizione italiana

Venerdì 4 aprile, alle 21, a Palazzo Ferrero a Biella, si terrà la presentazione del libro “L’uomo del K2. Il versante umano della “conquista” nei documenti inediti di Ugo Angelino”, edizioni Zeisciu, scritto da Massimo Palazzi e dedicato alla figura di Ugo Angelino, alpinista e protagonista silenzioso della storica spedizione italiana al K2 del 1954.

L’incontro, promosso dal CAI Biella, sarà l’occasione per conoscere da vicino non solo l’opera di Palazzi, ma anche l’eccezionale archivio privato di Angelino, rimasto inedito per decenni e ora finalmente portato alla luce.

A seguire, un dialogo appassionato con l’autore, tra alpinismo, ricerca storica e memoria viva di un’impresa che ha segnato la storia dell’esplorazione.

Massimo, partiamo dall’inizio. Come mai un un gallaratese, si è appassionato a Ugo Angelino fino al punto da acquistare parte del suo archivio e scriverci un libro?

È una passione che nasce da storico. Nel 2019 ho avuto la fortuna di imbattermi nell’archivio di Ugo Angelino, proposto in asta da Bollaffi a Torino. Erano lettere, documenti, carte mai studiate prima. La curiosità ha prevalso: leggerli, studiarli, condividerli. Mi sembrava un modo per dare un contributo alla storia dell’alpinismo. E così è stato. Scoprendo Angelino, ho scoperto anche l’ambiente alpinistico biellese, che non conoscevo e che mi ha profondamente arricchito.

Lei di professione è avvocato, ma da quel che dice la passione per la storia non è un hobby occasionale.

Assolutamente no. La passione per la storia c’è sempre stata, e nel nostro contesto alpino è naturale che si intrecci con la storia dell’alpinismo. È una delle facce della grande esplorazione. Prima gli inglesi sulle Alpi, poi gli italiani. E il Biellese, in questo, ha avuto un ruolo sorprendentemente centrale.

Da esterno, cosa l’ ha colpita del contesto alpinistico biellese?

La rilevanza storica. Da Quintino Sella a Vittorio Sella, con le spedizioni a fianco del duca degli Abruzzi, a Erminio Botta, assistente di Vittorio Sella, a Mario Piacenza. E poi l’impresa del 1954 sul K2, l’Annapurna…Guido Machetto, Enrico Rosso e oggi Gian Luca Cavalli e il giovane Matteo Sella. I biellesi ci sono sempre stati, silenziosamente ma con costanza. È una storia radicata nelle persone. E questo mi ha colpito profondamente.

Dallo studio delle carte è nato il suo libro “L’uomo del K2”. Che figura è emersa di Ugo Angelino?

Complessa. È impossibile cogliere appieno tutte le sfaccettature di una persona, ma nei documenti emerge una figura entusiasta, preparata, solida. Non solo un grande organizzatore, ma anche un valido alpinista. C’erano lati del suo carattere che forse nemmeno chi lo conosceva bene aveva colto. Ne è uscito un uomo vero, con tutte le sue fragilità, tensioni e relazioni. Però attenzione, l’uomo del K2 è sì Angelino. Ma non è solo lui. L’uomo del K2 è l’essere umano che si confronta con la montagna, con i propri limiti. È un archetipo.

Il titolo del libro, in effetti, è emblematico.

Esatto. L’uomo del K2 è ognuno di noi che si confronta con la montagna. È la figura umana che in quel contesto estremo riesce a esprimere tutto il proprio spettro interiore.

Lei stesso, in un certo senso, hai fatto questo incontro con la montagna. La scorsa estate ha camminato fino al campo base del K2. Cosa le ha ha lasciato questa esperienza?

Pensavo che il trekking al campo base fosse la chiusura di un cerchio, dopo anni di studio. In realtà è stato un nuovo inizio. Quei luoghi mi hanno fornito una chiave di lettura diversa di tutto ciò che avevo letto. Ho capito cosa intendesse Kurt Diemberger quando diceva: “Non conta la vetta, conta stare con queste montagne”. Ed è vero. Cambia il modo in cui rileggi ogni lettera, ogni parola scritta da Angelino.

Dal suo studio emergono anche aspetti nuovi sulla spedizione del ’54, diretta dal geologo Ardito Desio. Angelino avrebbe potuto essere il capo spedizione?

Di fatto, lo è stato. Desio dava indicazioni generali, ma le decisioni operative sullo sperone erano prese da chi era lì, da Angelino compreso. La sua organizzazione dei campi, da 1 a 6, è stata essenziale. Senza la sua pianificazione, non si sarebbe raggiunta la vetta. Era un lavoro da capo, anche se non ufficialmente riconosciuto come tale.

E dalle lettere emerge anche un’intensa quotidianità, un legame familiare molto forte…

Sì, bellissimo. Le lettere alla mamma e al fratello Emilio sono sincere, a volte spigolose, ma sempre autentiche. Mi ha colpito quanto spesso cercasse di rassicurare la madre, raccontando di quanto mangiasse, di quanto avesse appetito. A prima vista sembra banale, ma in realtà l’inappetenza è un sintomo precoce del mal di montagna. Quei dettagli diventano dati clinici, studiati anche dalla commissione medica del CAI che ha patrocinato la mia ricerca. Ecco perché ho voluto pubblicare le lettere in versione diplomatica, errori compresi: sono fonti pure, da cui tutti possono trarre nuove letture.

A gennaio è stato a Biella in occasione della serata di racconto della spedizione biellese al K2 organizzata dal CAI locale per il 70° della salita in vetta. Un momento molto toccante è stato quando ha mostrato una cartolina inviata a Angelino, al campo base, dal Coro Genzianella, fondato pochi anni prima da grandi amici, tra cui Nito Staich.

Sì, incredibile. Nel corso della serata era previsto un momento canoro con il Genzianella. Uno dei coristi presenti ha riconosciuto la propria firma di 70 anni prima.

È stato emozionante. È lì che ho capito che la storia serve a condividere emozioni, non solo a fare erudizione. L’emozione è un fissativo della conoscenza: ciò che ci commuove, lo ricordiamo davvero.

Angelino e gli altri membri della spedizione, fino all’ultimo superstite, si salutavano così: l”la spedizione continua”. Si può dire che questo lavoro di studio e ricerca sia un modo per far sì che la spedizione continui , un testimone consegnato alle nuove generazioni?

Sì, è un testimone che tutti possiamo raccogliere. Non sono io a portarlo, non da solo almeno, ma chiunque studi, ricordi, si appassioni tiene viva la spedizione.

È la grande spedizione dell’umanità. Ognuno cammina per un tratto, porta un’idea, una chiave interpretativa. E così facendo, la spedizione non finisce mai.

L’alpinista galantuomo e Marta Marzotto

Chi ha conosciuto Ugo Angelino, non può non ricordare i suoi tratti gentili, la sua cordialità. Originario di Coggiola, dove era nato nel 1923, Biella dopo la morte prematura del padre si trasferisce a Biella. Alpinisticamente si fa subito conoscere. Entra nella sezione di Biella del CAI, di cui sarà poi, in seguito, presidente. Scala i grandi quattromila. Il Monte Bianco sarà la sua montagna. Diviene istruttore nazionale di alpinismo e per il suo curriculum viene cooptato nel Club Alpino Accademico Italiano. Ingegnere, imprenditore nel commercio tessile-moda, Angelino sarà scelto per la spedizione italiana al K2 del 1954. Per le sue capacità di leadership fu scelto come vice capo spedizione e fu lui a organizzare la logistica. Tra gli aneddoti di Ugo Angelino il pranzo, in un noto ristorante milanese, nel corso del quale una giovanissima Marta Vacondio, non ancora Marzotto, conobbe il futuro marito seduto proprio al tavolo del biellese.

Ugo Angelino per la sezione di Biella del CAI ha sempre rappresentato un punto di riferimento. Con Erich Abram, mancato poche settimane dopo di lui, Angelino è stato tra gli ultimi alpinisti della spedizione del 1954 ad andarsene.

Massimo Palazzi. Avvocato, storico per passione: «La storia sia un’emozione viva e accessibile»

Massimo Palazzi è avvocato e storico per passione. Originario di Gallarate, si dedica da anni allo studio delle grandi imprese esplorative e alpinistiche del Novecento.

Nel 2019 ha acquisito parte dell’archivio privato di Ugo Angelino, rimasto inedito per oltre sessant’anni, e da quel momento ha avviato un lavoro di ricerca che ha portato alla pubblicazione del libro “L’uomo del K2”.

Nel 2024 ha percorso il trekking al campo base del K2, per vedere con i propri occhi i luoghi studiati per anni. Collabora con il CAI e crede nella condivisione delle fonti come strumento per rendere la storia un’emozione viva e accessibile a tutti.

Il ricordo: la cartolina del Coro Genzianella inviata al campo base nel ’54

Tra la documentazione acquisita nel 2019 da Massimo Palazzi in un’asta Bolaffi c’è una cartolina. Rappresenta una veduta sul Mucrone, scattata dal Camino, Una veduta classica delle Alpi Biellesi, Un’immagine che sa di casa, di famiglia. Il coro fondato appena due anni prima della spedizione da tanti amici di Ugo, tra cui il vulcanico Nito Staich, aveva scritto a Ugo che si trovava al campo base del K2. Ci sono le firme di tutti i coristi. Dei coristi di allora, ancora in organico, c’è Florido Serra.

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