Scatti etici: l’intensità della foto diventa cultura

Intervista al direttore del Festival della Fotografia di Lodi che venerdì inaugurerà a Biella l’esposizione organizzata con Anna Fileppo

Palazzo Ferrero e il Lanificio Maurizio Sella si preparano all’inaugurazione della mostra “Rivivere Raccontare Immaginare. Il passato che saremo”, prevista questo venerdì. Ideata da Anna Fileppo in collaborazione con il Festival della Fotografia Etica di Lodi, l’esposizione si divide in due percorsi, uno realizzato dagli studenti di alcuni istituti scolastici biellesi di primo e secondo grado, dagli ospiti della Casa per l’Autismo di Candelo e della Domus Laetitiae di Sagliano, che vede le fotografie di ville abbandonate, scattate da Silvano Pupella, farsi tavolozza per dare nuova vita a luoghi abbandonati e inutilizzati attraverso un’elaborazione creativa, e 4 reportage provenienti dal Festival della Fotografia Etica di Lodi: “Alpaqueros” di Alessandro Cinque, vincitore del Short Story Award nell’edizione 2023 del Festival, “One day I will” di Vincent Tremeau, apparso su National Geographic, CNN, PBS ed esposto in tutto il mondo, “Diventare cittadini” di Isabella Franceschini, vincitore del World Report Award Documenting Humanity 2022, e “Eustasy” di Felipe Fittipaldi, vincitrice del World Report Award nel 2022. In occasione dell’apertura della mostra, che resterà visitabile fino al 1° maggio, Alberto Prina, direttore del Festival della Fotografia Etica di Lodi, racconta il ruolo del fotogiornalismo oggi e le sue declinazioni nei quattro progetti parte dell’iniziativa.

Gli scatti in mostra inchiodano il pubblico alla realtà di come va il mondo, da un punto di vista sociale, umanitario e ambientale. Come è cambiato negli anni il potere del fotogiornalismo?

Sicuramente è cambiato molto, come sono cambiati l’editoria e la fotografia come strumento di comunicazione. Il festival in questi anni è cresciuto rapportandosi a un mondo dominato dai social in cui ci sono tante informazioni veloci e superficiali. Il fotogiornalismo ha seguito questi aspetti: da una parte si è polarizzato verso informazioni in tempo reale, dall’altro richiede il giusto tempo, la giusta attenzione. In quest’ottica un festival ha oggi più senso ancora di prima, perché è un momento di decelerazione.

Quanta componente di sensibilità degli autori è presente nei quattro reportage? O ciò che dà valore al fotogiornalismo è l’immagine nuda e cruda della realtà?

Dipende. La presenza del fotografo ora è sempre più richiesta, unita alla capacità di approfondimento. È un fenomeno che abbiamo visto emergere da una decina di anni e che i fotografi usano per raccontare meglio gli eventi. Poi, ovviamente, c’è la foto di cronaca, anche questa importantissima per raccontare il mondo e i grandi avvenimenti che lo dominano.

Gli scatti di Alessandro Cinque, sul cambiamento climatico, sono stati definiti un grande esempio di giornalismo basato sulle soluzioni, cosa si intende?

Nella fotografia c’è il lato della denuncia, la testimonianza e questo nuovo tipo di giornalismo che si sta diffondendo, molto importante e, rispetto agli altri, positivo. Negli scatti, cioè, non vengono rappresentati solo i problemi, ma si raccontano i lati positivi di una vicenda, narrata attraverso immagini di vita quotidiana toccata dai grandi problemi, come i cambiamenti climatici, che possono essere visti come qualcosa di molto lontano ma in realtà hanno risvolti sulla vita di centinaia di migliaia di persone.

Il difficile rapporto tra uomo e natura è il tema centrale di Eustasy . Il suo lavoro fa emergere la memoria, il serbare in eterno ciò che era mettendoci di fronte ai mutamenti.

Esattamente, un aspetto importante del lavoro di Fittipaldi è mettere in luce fenomeni estremamente lenti, una capacità della fotografia di immortalare l’istante all’interno del racconto, congelando anni se non decenni. Grazie a foto come queste noi vediamo gli effetti su persone, case, natura, concentrati in 5 anni, come se fosse un film a velocità aumentata. Fittipaldi mette in evidenza mutamenti che normalmente sarebbe troppo difficile da constatare se non nell’evidenza. C’è un’immagine molto bella, di notte si vede il mare da una casa e si ha la percezione che chi stava lì dentro, sentiva il rumore del mare più vicino, dando la sensazione della lentezza inesorabile del mutamento.

Al contrario si può denunciare un futuro che potrebbe essere negato, come negli scatti di Vincent Tremeau. Se il fotogiornalismo incontra la foto-arte il valore documentale cambia?

Il rapporto tra fotogiornalismo, reportage, foto documentarista è strettissimo. Uno degli obiettivi che abbiamo voluto raggiungere è mostrare la forza della fotografia documentaristica, che spesso viene vista non abbastanza vicina all’arte: una stupidaggine. Io penso che riuscire a vedere in un semplice scatto un dettaglio, un’idea di base, sia incredibile, più di tanti oggetti. Poi bisogna sempre considerare che c’è una differenza tra cultura e intrattenimento perché la cultura deve sempre far crescere e arricchire chi ne usufruisce. Nel caso specifico degli scatti di Tremeau, la forza del progetto è raccontare la potenza e la voglia di essere di queste giovani, anche nei contesti più difficili: il sogno che ogni bambino ha, non dipende da dove vive o dove nasce.

Infine il lavoro “Diventare cittadini” di Isabella Franceschini apre gli occhi sul coinvolgimento dei giovani.

Sì, la politica nella sua accezione migliore è la costruzione di una relazione civile tra le persone. In una popolazione come la nostra, la nazione più vecchia dopo il Giappone, dare spazio ai giovani diventa una necessità; due lavori su quattro che saranno in mostra a Biella, puntano, infatti, sul ruolo dei ragazzi nel futuro. È un bel racconto, fonte di ispirazione, di una esperienza che si può portare anche in altri territori. Anche a Biella esiste un Consiglio Comunale dei ragazzi, come a Lodi, dove sono iniziate attività simili grazie a questa mostra.

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