
«Stregoneria? I processi e i roghi
veri femminicidi»
Intervista a KatiaTenti. Scrittrice e sociologa sarà a Biella sabato, alle 17,30 da Giovannacci, per presentare “E ti chiameranno strega”

C’è un piccolo paese, a pochi chilometri da Bolzano, che sembra uscito da una cartolina. Lo si incontra salendo dalla città percorrendo la strada che conduce all’Alpe di Siusi. Ci sono chiesette con i campanili a cipolla, masi gotici dove i prati sono talmente perfetti da sembrare tappeti e le vigne, così ordinate, danno l’impressione di essere pettinate. In più c’è un castello di stile rinascimentale che sembra quello delle fiabe. Lo vedi e ti immagini cavalieri e dame agghindate per una giostra cavalleresca. E infatti il marketing territoriale ci ha costruito un evento che a giugno, richiama turisti da ovunque: la cavalcata di Oswald von Wolkenstein, poeta e compositore, nonchè politico e consigliere di imperatori del Sacro romano impero germanico. Questi luoghi, oggi, non suggerirebbero l’efferatezza di uno dei più importanti processi di stregoneria che qui si svolse nel 1500. Anche le streghe sono diventate oggetto di marketing per conquistare nuovi turisti. In questo contesto la sociologa e scrittrice bolzanina Katia Tenti ha ambientato il suo ultimo romanzo edito da Neri e Pozza dal titolo piuttosto evocativo: E ti chiameranno Strega. Katia Tenti sarà a Biella l’8 marzo, Festa della Donna, alle 17.30, ospite della libreria Vittorio Giovannacci, per presentare il libro. L’evento è stato voluto dalla sezione di Biella del Club Alpino Italiano insieme a Montagna Amica e ad Erbass. Noi l’abbiamo intervistata.
Come è nato il suo amore per la scrittura e in che modo il suo percorso personale l’ha condotta a scrivere E ti chiameranno strega?
Scrivere è un’attività che mi accompagna da anni, perché sento il bisogno di far vivere storie altrimenti dimenticate ma che hanno ancora molto da insegnare. Una passione nata in modo quasi automatico grazie alla grande quantità di libri che ho letto fin da piccola. Ho lavorato a lungo nell’ambito sociale e mi sono sempre occupata di donne.
Nel suo romanzo affronta la drammatica persecuzione delle donne accusate di stregoneria. In particolare racconta di figure femminili che erano eredi di un sapere antico – conoscevano le erbe medicinali e curavano i malati – e proprio per questo venivano temute e condannate. Cosa l’ ha spinto a ridare voce a queste donne dimenticate e quali emozioni ha provato nel raccontare le loro vicende così tragiche?
Ho scelto di parlare delle streghe dello Sciliar perché tra leggenda e folklore si rischia di dimenticare quelli che, correttamente definiti, sono stati femminicidi: di Stato, in questo caso. E perché molte sono le analogie tra il potere maschile che subivano le donne nel 1500 e oggi. Ma soprattutto quando immaginiamo una “mappa delle streghe”, come qualche accademico definisce la linea che collega i diversi processi noti, quello dello Sciliar non compare mai. È stato un processo diverso dagli altri: non condotto dalla Santa Inquisizione, ma dal braccio secolare. Processi civili a tutti gli effetti.
Emerge con forza nella storia il legame profondo tra la natura e la guarigione. Barbara, la protagonista vissuta nel Cinquecento, impara da sua madre a riconoscere le piante medicinali e a usarle per curare – un sapere prezioso tramandato di generazione in generazione. Che significato ha per lei questo antico rapporto con la natura e come ha voluto trasmettere al lettore la saggezza di queste guaritrici e il potere di cura della terra?
Nel 1500 gli uomini praticavano la medicina solo a livello empirico, non erano veramente in grado di curare i corpi, come invece sapevano fare le donne grazie alla conoscenza profonda delle erbe. La farmacia non era contemplata come la immaginiamo oggi: la preparazione di infusi e decotti curativi era vista come una forma di magia proprio perché era competenza quasi esclusiva delle donne e forse anche per questo erano temute. Invidiate e temute. Dalla notte dei tempi la donna è terra per definizione. Erbarie e levatrici, le cosiddette streghe potevano dare la vita in quanto donne, ma grazie alla conoscenza delle erbe, potevano anche toglierla praticando aborti. Erano donne competenti e piene di saggezza che ad un certo punto rischiavano di oscurare il potere maschile. Per questo le hanno bruciate, non solo per superstizione.
Presenta E ti chiameranno strega a Biella. Anche la nostra terra ha conosciuto a sua volta le ferite della caccia alle streghe. Penso, ad esempio, ai processi avvenuti in Valle Cervo nel Quattrocento, dove una donna fu condannata al rogo, segno di quanto la paura per le donne “diverse” fosse diffusa. Le montagne tra Biellese e Valsesia sono poi state l’ultimo rifugio di Fra Dolcino e di Margherita. C’è qualcosa che accomuna le montagne come luoghi di rifugio per chi si oppone al maistream, per chi fa “resistenza”?
Considero la montagna come un unicum. Un luogo dove potersi isolare, respirare, rigenerare. Se un tempo poteva essere un luogo dove nascondersi per scappare dalle persecuzioni, oggi è il posto dove scappare dalla confusione. O almeno, provarci, visto che anche la montagna è sempre più deturpata da chiunque, comprese persone che non nutrono un amore e un rispetto autentico. Il rischio che diventino mainstream purtroppo è molto alto. La montagna può anche essere intesa come un luogo che protegge chi vuole difendere il proprio pensiero, una sorta di metafora per una resistenza anche intellettuale.
Il Santuario di Oropa, sopra Biella, forse uno dei più ìimportanti santuari delle Alpi, è un luogo speciale. c’è chi sostiene che, prima del santuario mariano, si venera una Madonna nera, quello fosse un sito di culto pre-cristiano dedicato alla Grande Madre, una divinità femminile legata alla terra. Questo fa pensare che le cosiddette streghe fossero in realtà custodi di un’antica spiritualità della natura. Secondo lei , quanto la paura verso queste donne derivava anche dalla paura di quel potere femminile arcaico? Con E ti chiameranno strega hai voluto invitare a riflettere anche su questo aspetto spirituale del femminile?
Sì, assolutamente. La persecuzione delle cosiddette streghe non si può comprendere appieno senza considerare l’antico legame tra le donne e la spiritualità della natura. La figura della Grande Madre, venerata in molte culture pre-cristiane, rappresentava una forza vitale connessa alla terra, alla fertilità, alla guarigione e ai cicli della vita. Con l’affermarsi delle religioni patriarcali, questo potere femminile è stato prima assimilato e poi demonizzato. Le donne che conoscevano le erbe, che assistevano alla nascita e alla morte, che conservavano un sapere trasmesso oralmente, erano le ultime custodi di una saggezza che non poteva essere controllata dalle istituzioni maschili. Erano una minaccia perché il loro potere non derivava né dalla Chiesa né dallo Stato, ma dalla natura stessa. In questo senso, la paura verso di loro non era solo una questione di superstizione, ma il riflesso di un tentativo sistematico di eliminare ogni forma di autonomia femminile. Con E ti chiameranno strega ho voluto riportare alla luce questa memoria, invitando a riflettere non solo sulla violenza subita dalle donne, ma anche sulla perdita di un rapporto più profondo e armonico con la natura e con il sacro femminile. Perché il culto della Grande Madre non è mai scomparso del tutto, ma è rimasto nelle leggende, nei simboli, nei riti che ancora oggi possiamo riscoprire.
Presentare questo libro proprio l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, aggiunge un significato particolare. Che valore pensa possa avere E ti chiameranno strega come strumento di riflessione sulla condizione femminile, ieri e oggi?
L’8 marzo è una giornata di memoria e di lotta, non solo una celebrazione. Raccontare la storia delle donne perseguitate per stregoneria significa anche raccontare la storia di una violenza che continua a manifestarsi in molte forme ancora oggi. Le donne bruciate nei secoli passati perché sapevano troppo, perché erano indipendenti, perché non si conformavano alle aspettative della società, non sono così diverse dalle donne che oggi subiscono discriminazione, violenza, giudizio sociale. Il libro vuole essere uno strumento di riflessione su come certe dinamiche di potere si ripetano. Se nel Cinquecento si processavano le donne accusandole di stregoneria, oggi le si processa mediaticamente o socialmente per le loro scelte di vita, per il loro corpo, per la loro libertà. La giornata della Donna è l’occasione perfetta per ricordare che la lotta per i diritti femminili non è conclusa e che la memoria storica è fondamentale per comprendere il presente. Con E ti chiameranno strega, spero di offrire non solo una storia da leggere, ma anche un punto di partenza per interrogarsi su ciò che ancora oggi limita, giudica e punisce le donne. Perché la vera stregoneria, forse, è sempre stata la capacità delle donne di resistere.
Il romanzo si sviluppa su due piani temporali: il processo per stregoneria e la storia della giovane curatrice della mostra, che a sua volta subisce una sorta di inquisizione per la sua decisione di abortire. Qual è il legame tra queste due vicende? In che modo il libro mette in luce i meccanismi di giudizio e condanna sociale che, pur cambiando forma, sembrano attraversare i secoli?
Il legame tra le due storie è il controllo sul corpo e sulla libertà delle donne. Se nel Cinquecento le “streghe” venivano perseguitate per il loro sapere e la loro indipendenza, oggi le donne continuano a essere giudicate per le loro scelte personali, come nel caso della protagonista contemporanea. Il libro mette in luce come, pur cambiando epoche e contesti, il meccanismo di condanna sociale persista: un tempo erano i tribunali, oggi è il pregiudizio collettivo.
Nel romanzo, ambientato in uno dei contesti alpini più belli, siamo in Alto Adige, dove tutto appare perfetto e a misura di turista, si percepisce una critica sottile al rischio di banalizzare i luoghi e la loro storia per inseguire il turismo di massa. In un’epoca in cui il marketing territoriale è sempre più aggressivo, come possiamo proteggere l’anima autentica dei territori, senza sacrificare il loro valore storico e culturale?
Proteggere l’identità di un luogo significa rispettarne la storia e le tradizioni senza trasformarle in semplici attrazioni commerciali. Il turismo consapevole può essere una risposta, promuovendo esperienze autentiche e sostenibili, evitando la spettacolarizzazione eccessiva. Bisogna valorizzare i luoghi con narrazioni che ne preservino la memoria, piuttosto che ridurli a scenari di consumo.
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