«Quei dazi che fanno tremare
il mondo»

Creminelli .Dai salumi artigianali di Vigliano agli States. L’esperienza dell’imprenditore biellese che ha investito con successo nel «food»

«Per noi è stato gioco forza aprire in Utah. Non si può esportare carne in America che rischia di stare ferma per centinaia di giorni in dogana per questioni di salubrità del prodotto, regole e verifiche. Con mio padre Umberto abbiamo cercato tante soluzioni e alla fine abbiamo aperto un’azienda in America, lavorando sul know how, sulle nostre ricette e il confronto continuo con mio fratello Cristiano che si era trasferito là». Così, come spiega Andrea Creminelli, la strada dal Salumificio di Vigliano ha preso una direzioni nuova.

La Creminelli Fine Meats negli Usa ha condiviso la lunga tradizione familiare che risale al 1906, fondata su qualità, artigianalità e rispetto delle ricette originali. «Il primo passo è avvenuto nel 2006» prosegue Cristiano Creminelli. «Quando ho incontrato Chris Bowler durante le Olimpiadi di Torino e insieme abbiamo avviato un progetto per superare i rigidi vincoli sanitari americani. Con noi c’era anche un terzo socio, Jared Linch e con un budget iniziale limitato, vendendo auto e lavorando in un seminterrato con attrezzature italiane, abbiamo debuttato al Fancy Food Show di San Francisco nel 2008, ottenendo il nostro primo cliente, “Whole Food” che fa parte di Amazon».

Grazie a una crescita costante, da un piccolo laboratorio la Creminelli Fine Meats è diventata un grande stabilimento a Providence, Rhode Island, con sede principale a Salt Lake City, e un punto di riferimento nel mercato americano per i salumi di alta qualità, mantenendo intatta la tradizione italiana.

«Nel 2019 il Fondo E2P ha acquisito la maggioranza delle nostre quote. Mi hanno chiesto di restare 4, 5 anni per il passaggio consegne e così è stato. Il fondo investe nel campo alimentare ma non avevano precedenti esperienze con i salumi. Con noi avevano portato a bordo anche il marchio “Daniele”. La produzione l’ho seguita fino allo scorso luglio, diradando nel tempo la collaborazione. Ora ho deciso di rientrare a Biella, stare più vicino alla famiglia e dedicarmi ad altro, sempre negli Usa e sempre nel settore alimentare».

Creminelli nel frattempo è diventato cittadino americano nel 2018 (con la presidenza Trump): «L’ho fatto per una questione pratica, vivere con visto non è mai tranquillo. E adesso si vedono bene le conseguenze». Ma proprio prima di trasferirsi in Italia ha avuto la soddisfazione di ricevere dalla SFA (Speciality Food Association) il premio Hall of Fame, negli Stati Uniti il miglior riconoscimento che si possa ricevere nel comparto food.

E proprio in questo settore (come in tanti altri) infuria la bufera dazi innescata da Trump. «Tranne ingredienti molto particolari quali vino e tartufo, la Creminelli si approvvigionava negli Usa dove era concentrato per il 95% il nostro fatturato quindi non avevamo o ci sono particolari problemi. Oggi ho amici che importano per esempio il marmo dall’Italia e sono molto inquieti. Il mercato si era appena ripreso e adesso l’aria della recessione e i prezzi alle stelle hanno nuovamente frenato il lavoro. Parlando con chi si occupa di imballaggi, per esempio, la situazione non è migliore. Si aspettano aumenti e si domandano come faranno a gestirli. Dei colleghi in Canada che hanno un’industria salumi sono disperati: il loro primo mercato è l’America per il 75%:, come faranno a gestire la concorrenza, i contratti con le aziende, le penali sulla consegna. Trump vuole farsi forte dei dazi per contrattare ma sta mettendo in ginocchio il Paese. Anche se si fermasse adesso il danno è ormai fatto e la recessione è dietro l’angolo».

L’imprenditore ha mantenuto una piccola partecipazione nell’azienda fondata da lui ma intanto ha scommesso su altre attività. «Ho avuto grandi soddisfazioni. Il nostro prosciutto crudo in vaschetta oggi è il più venduto negli Usa. Un bell’impulso lo abbiamo dato con gli snack. Ora mi voglio dedicare alla mia famiglia che ha condiviso con me tanti sacrifici. Credo ancora negli Stati Uniti ma soprattutto negli italiani. Un connubio vincente. Il mio nuovo progetto è tricolore e la produzione e la commercializzazione a stelle e strisce. Lavoriamo su cioccolato, panificazione e latte con impianti Usa. Non rischiamo i dazi ma ci sono già aziende italiane che ci hanno contattato per produrre la per loro Oltreoceano».

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