Economia & Società / Biella
Domenica 16 Novembre 2025
Slow Fiber, una sfida più sostenibile
sul futuro del tessile
Convegno A Torino il primo congresso della rete che riunisce 29 aziende di cui una buona parte biellesi. Petrini: «Questo deve diventare un modello globale»
E’ stato un confronto aperto tra imprese, esperti e studenti per riscrivere il futuro del tessile italiano, nel segno di sostenibilità, trasparenza e durabilità. Il primo Congresso nazionale di Slow Fiber, si è svolto all’Auditorium della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, in occasione del terzo compleanno dalla rete di imprese che vede fra le aziende aderenti (a oggi 29) un folto gruppo di realtà biellesi.
Nata nel 2022 dall’incontro tra il movimento Slow Food e un gruppo di imprese virtuose del tessile italiano, SlowFiber vale 6.800 addetti e un fatturato aggregato di 1,2 miliardi di euro. Il movimento condivide la visione di un settore che mira al «buono, pulito, giusto, sano e durevole» badando alla qualità e non alla quantità.
Nelle parole di Carlin Petrini il leit motiv della giornata di lavoro. Il fondatore di Slow Food ha inaugurato il convegno lanciando un appello forte: «Il mondo ha bisogno di una rigenerazione dell’intero comparto del vestire. Se non cambia atteggiamento, è criminale. Slow Fiber deve diventare un modello globale».
Un invito condiviso da Dario Casalini, presidente e promotore del movimento: «Parlare di sostenibilità non basta più. Dobbiamo educare al consumo, motivare i giovani e proteggere la filiera virtuosa. Solo un tessile che duri nel tempo e generi valore reale può definirsi anche bello«.
Il congresso ha analizzato le sfide ambientali e sociali del tessile. Ada Ferri, professore associato al Politecnico di Torino e direttrice del Comfort Lab di Città Studi, ha richiamato l’urgenza di un approccio realistico: «Il settore tessile ha un impatto paragonabile al Pil e alla popolazione del nostro Paese. L’impatto zero non esiste: anche le fibre naturali impattano, il cotone consuma acqua, la lana produce emissioni. Dobbiamo accettare la complessità e lavorare su innovazione e consapevolezza». Un messaggio di rigore scientifico, che invita a superare la retorica della «sostenibilità a parole» e ad affrontare i limiti tecnologici del riciclo e della produzione.
Il confronto con le imprese ha confermato che il futuro del settore passa dalla filiera e dalle sinergie. Giovanna Maggia, del Maglificio Maggia, tra le aziende fondatrici di Slow Fiber, ha sottolineato che «Solo facendo rete si può costruire un modello davvero sostenibile. La collaborazione e la condivisione sono la chiave per affrontare le sfide comuni, ma serve un quadro normativo che garantisca regole uguali per tutti». Sulla stessa linea Marco Bardelle, amministratore di Tintoria Finissaggio 2000 e co-fondatore di Magnolab: «Slow Fiber rappresenta un punto di svolta: unire competenze e visioni per un tessile più etico e trasparente. Non possiamo pensare alla sostenibilità come un percorso individuale: la filiera deve muoversi come un organismo unico».
Il tema della filiera integrata e della giusta remunerazione è stato centrale anche nell’intervento di Marco Bortolini, amministratore di Di.Vè e vice presidente Sviluppo delle Filiere Industriali di Uib: «Abbiamo bisogno di filiere che durino nel tempo, basate su principi sani e solidi. Una filiera solida è più forte, più trasparente e più competitiva. Le pressioni dei clienti aumentano, ma devono tradursi in un patto di valore e responsabilità condivisa».
La rete Slow Fiber punta proprio a questo: garantire tracciabilità, equità e qualità attraverso KPI verificati da revisori esterni, che misurano l’effettiva adesione ai valori etici e ambientali delle aziende associate.
La giornata ha offerto spazio anche alla ricerca e alla formazione confermando come il futuro è nelle nuove generazioni e nella cultura del «meglio possibile». «Dobbiamo educare i giovani alla manifattura e al consumo consapevole – ha ribadito Casalini – perché il cambiamento parte da loro».
Accanto a lui, studiosi come Debora Fino e Matteo Villa hanno sottolineato la necessità di superare il paradigma della crescita illimitata e orientarsi verso un’economia «della sufficienza», dove efficienza e sobrietà coesistono. Il congresso di Torino ha segnato un passaggio importante per il movimento. Slow Fiber, forte del suo manifesto al quale l’adesione comporta il rispetto ferreo delle regole, a tre anni dalla fondazione si conferma oggi come laboratorio di idee e buone pratiche per il rilancio della manifattura italiana».
Abbiamo costruito le basi di un dialogo vero – ha concluso Casalini – ma la sfida comincia ora: portare al tavolo l’industria di marca, le istituzioni e i giovani, perché il futuro del tessile si scrive insieme».
Rifiuti, consumi ed emissioni: tutti i numeri del settore
Il settore è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2. Consuma il 20% dell’acqua utilizzata nel mondo. Si stima che ogni anno vengano prodotti oltre 100 miliardi di capi: il 30% resta invenduto. Produce annualmente oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti tessili, di cui l’87% finisce in discariche o inceneritori, creando un problema enorme di spreco e inquinamento. Meno dell’1% dei tessuti viene realmente riciclato in nuovi indumenti. Ogni anno, nel mondo, tra 200mila e 500mila tonnellate di microplastiche provenienti dai tessuti sintetici entrano in mare. Entro il 2030, la domanda di abbigliamento aumenterà del 63% rispetto ai livelli del 2015 e si passerà dai 62 milioni di tonnellate a oltre 100 milioni di tonnellate di vestiti «consumati» annualmente. Ogni anno l’industria tessile globale consuma circa 93 miliardi di metri cubi d’acqua. Produce oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti solidi.
Il tempo medio di utilizzo di un capo è diminuito di circa il 36% negli ultimi 20 anni, con una media di solo 7-8 utilizzi per capo. I prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a circa 121 milioni di tonnellate.
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