Il sarto degli Indiani che cuce come
si faceva un tempo

Adolfo Bellucci ha un’abilità e una passione straordinarie: realizza, rispettando le regole dei nativi americani, i loro oggetti sacri da collezione

Sembra un viaggio indietro nel tempo: per chi ha visto i copricapi e gli oggetti indiani solo in film come “L’ultimo dei Mohicani”, scoprire dal vivo i manufatti di Adolfo Bellucci è un’emozione. Non tanto per la bellezza e la sorprendente cura dei particolari, ma perché ognuna delle sue realizzazioni contiene ore di minuzioso lavoro e rispetta attentamente le regole che i nativi americani avevano stabilito per garantire la sacralità dei loro oggetti.

Adolfo vive a Brusnengo. Lavora come pasticcere in un’azienda biellese e da sette anni produce – guidato da un talento raro – manufatti per collezionisti di oggetti speciali, appartenenti alla cultura degli Indiani d’America.

«I nativi mi affascinano da sempre» racconta «almeno da quando, da bambino, giocavamo a Indiani e cowboy». Inutile dire quale parte Adolfo interpretasse. «Amavo disegnarli, e più tardi dipingerli» con risultati davvero apprezzabili, come si vede nell’immagine in alto. «Fino a quando, qualche anno fa, mi sono iscritto a Facebook e ho scoperto gli oggetti che poi ho imparato a realizzare».

Attraverso i social Adolfo è entrato in contatto con Alessandro Martire, un avvocato fiorentino che ha vissuto per dieci anni in South Dakota, in una riserva dei Lakota. «È la tribù che per semplificare viene spesso denominata erroneamente Sioux» spiega Adolfo. «Alessandro è stato accolto tra loro e detiene la sacra pipa, un fatto molto raro. La pipa per gli indiani è un potente strumento di preghiera, pieno di significati profondi: è il collegamento con il grande Spirito».

Adolfo ha avuto modo di imparare molto sulla cultura dei nativi dal suo mentore, che è considerato un esperto a livello internazionale. Un esempio? «È stato consultato dalla costumista che ha lavorato al film “Balla con i lupi”, con Kevin Costner. Da Alessandro ho appreso molto, e dopo qualche tempo mi ha messo in contatto con Sergio Susani, un vero maestro nelle lavorazioni tradizionali».

Susani vive in provincia di Arezzo, e può essere considerato uno tra i più rappresentativi realizzatori di oggetti indiani. «Sergio è bravo in tutto: diversi suoi manufatti sono stati utilizzati per film importanti. Da lui ho imparato alcune tecniche molto particolari».

Tra queste c’è la decorazione di calzature, portapipa e custodie per le armi con perline ottocentesche prodotte a Venezia. «Non è semplice trovarle, perché non vengono più prodotte. Ma i veri collezionisti cercano quelle».

Tra le lavorazioni antiche apprese da Adolfo c’è la decorazione di copricapi e oggetti sacri utilizzando gli aculei del porcospino, in alcuni casi colorati con tinture naturali. «Questo genere di decorazione era utilizzata dagli Indiani delle pianure. È importante usare le tecniche di un tempo: diversamente l’oggetto perde una parte del suo valore. Per esempio per cucire non uso ago e filo: è previsto che gli oggetti, realizzati prevalentemente in pelle di cervo o di bisonte, siano cuciti con fili ottenuti dai tendini di alcuni animali. Anche l’ago è vietato per chi vuole rispettare la cultura indigena: e allora occorre praticare un piccolo foro con un punteruolo – stando attenti a non trapassare la pelle nel lato inferiore – e poi far passare il filo tratto dal tendine, più resistente e rigido del filo in tessuto».

Vedere Adolfo all’opera lascia senza fiato. Si comprende quanta dedizione, energia e pazienza siano richieste anche solo per un piccolo amuleto Cheyenne, per la tasca che contiene un antico acciarino e la pietra focaia o per i più complessi calzari in pelle di bisonte.

La cura e l’attenzione ai manufatti non tralascia la ricerca dei materiali. Esistono specifici distributori: «Acquisto le materie prime da un grande rivenditore in Francia, il punto di riferimento qui in Europa. Anche le piume d’aquila devono essere certificate: in Italia è un rapace protetto e possono essere utilizzate solo quelle di animali morti e non uccisi».

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