L'inverno nel Biellese orientale. Sulle nevi “d’antan” dell’Oasi Zegna

D’antan” è un aggettivo che mi piace molto. Vuol dire, come leggo sul dizionario Garzanti, “di un tempo, di una volta, ma con sfumature di nostalgia, di rimpianto”. E in effetti è così. La neve di un tempo pare non ci sia più. O non nevica, o nevica troppo, poi ci piove sopra, con disagi, slavine e interruzioni di strade. Per ricordarmi la prima volta che mi sono messo un paio di sci, devo tornare all’inizio degli anni ’60. Studente della mitica Pietro Sella di Mosso, vengo convinto a partecipare alla gara di sci della Festa della Neve della scuola, a Bielmonte. Avevo provato a sciare solo qualche volta, con le “tappe” prestate da qualche amico, nei prati vicino a casa. La gara si svolgeva sulla pista Baby, una decina di facili porte di slalom gigante. Alla seconda porta cado, e lo sci destro si sgancia e se ne va giù bel bello per il Monte Cerchio. Quel giorno – ricordo bene - le piste sul quel versante nord non erano battute e io passai il resto della mattinata come un reduce della campagna di Russia, neve fino alla cintola, a scendere per recuperare l’attrezzo e risalire. Anche perché gli sci erano stati noleggiati nel negozio di Rolando Sport, e non potevo certo non riportarli.

Gli scarponi alla moda

Malgrado la disavventura, la pratica dello sci mi aveva subito affascinato e in quei primi inverni tornai più volte a Bielmonte, talvolta andando a piedi a Trivero a prendere il pullman. Pochi anni dopo cambia tutto. Posso permettermi di essere auto-munito e anche sci-munito. Potevo sfoggiare un paio di sci Vittor Tua, ancora in legno ma laccati e griffati, con attacchi Kandahar, leva avanti e molle sul tallone. Gli scarponi, li vedete in foto, erano i primi con i ganci metallici, in cuoio scamosciato. Una vera figata, si direbbe oggi. Li avevo comprati usati, di secondo piede, da un amico mossese che aveva la possibilità di cambiarli ogni anno. Iniziarono in quegli anni anche le gite del CAI verso le stazioni invernali dell’arco alpino piemontese e valdostano, ma Bielmonte era ormai diventata una meraviglia, per comodità e per bellezza del paesaggio.

Il nostro KL

La domenica bestiale sugli sci iniziava presto, per fare le prime discese sulla neve appena battuta e per anticipare le code di metà mattinata agli impianti. E terminava al tramonto. Ricordo che si aspettava con impazienza che le piste si svuotassero per provare il brivido del “kilometro lanciato”. Dal colle del Baby si scendeva per dritto sulla sinistra della pista del Monte Cerchio, cercando di risalire il più possibile verso il Massaro. Chi restava più indietro pagava da bere. Ma le emozioni non finivano qui. Chi non ricorda le cadute in partenza dallo skilift dell’Argimonia? L’impianto dava degli strattoni violenti e occorreva una notevole abilità per non volare o per evitare dolori al… sottopancia. Già arrivare là in fondo non era facile. Una pista ripida e stretta scendeva per il canalino del colle dell’Argimonia, era la nostra “nera” preferita, si faceva un paio di volte ma poi si tornava sui pendii più dolci della Buca di Forno.

Nasce l’Oasi Zegna

Nel mezzo secolo passato da allora molte cose sono cambiate, oltre alla neve. A metà di quel tempo, venticinque anni fa, è nata l’Oasi Zegna. Lo scopo del progetto, per il quale ho avuto la fortuna di lavorare, era quello di riprendere tutto il “pensiero verde” di Ermenegildo Zegna, rappresentato dalla strada che prende il suo nome, da Trivero alla Valle Cervo. L’azione di sviluppo e promozione interessò tutti i sentieri, valorizzò la conca dei rododendri e le bocchette con riferimento particolare al turismo estivo. Ma intanto anche le attività invernali si sono evolute, in parte a scapito dello sci, complice il cambiamento climatico che sta modificando i tempi e i modi legati alle precipitazioni nevose. Così si è sviluppato lo sci di fondo, che trova al Bocchetto Sessera il suo campo d’azione. Una bellissima pista porta alla conca dell’alpe Artignaga, villaggio alpino che con la neve aumenta il suo fascino antico. Sono dieci chilometri tra il silenzio del Bosco del Sorriso e le luminose visioni dell’Alta Valsessera, la “valle incantata” che prelude al Monte Rosa.

Non solo ciaspole

Dallo sci di fondo alle ciaspole il passo è semplice. E non è solo un modo di dire. Il movimento che si fa con le racchette da neve è in pratica quello di una normale camminata in montagna, ma con un po’ più di fatica a causa del peso dell’attrezzo e del suo sprofondamento sul manto bianco. Come per il cammino, il ciaspolare è una attività di tipo aerobico che aiuta a dimagrire, modella la muscolatura, migliora l’umore grazie al rapporto diretto con la natura. Nell’Oasi Zegna sono molti i percorsi che si possono fare in tutta sicurezza con le racchette da neve, ma è sempre opportuno ascoltare le previsioni per essere al corrente di eventuali pericoli e criticità. Un breve percorso è possibile attorno al Piazzale Due di Bielmonte, sul tratto di strada dal Bocchetto Sessera verso l’alpe Moncerchio e verso la Casa del Pescatore. Piacevole e panoramico è l’itinerario che parte dal piazzale di Cascina Lunga, sulla strada per la Valle Cervo, per salire all’alpe Mosino, da dove i più bravi possono spingersi verso il Monticchio e la Pera Furà.

“Da qui i vugumma la nössa cà”

Ma certamente il cammino più bello è quello che sale dalla Chiesetta Alpina al Santuario di San Bernardo. Qui il percorso è costantemente battuto e di fatto non servono neanche le ciaspole, se non appena dopo una nevicata. Ci vuole un quarto d’ora per percorrere il primo tratto di strada fino alla bocchetta che guarda all’alta Valsessera e altrettanto per arrivare al santuario. Ma la fatica è l’ultimo dei pensieri, in questo luogo meraviglioso per la storia e per il panorama. L’eresia di Dolcino e il voto dei triveresi che costruirono la chiesa si direbbero ancora presenti, ogni parte con le loro ragioni, come ancora succede per altre vicende più vicine. Ma qui la pace prevale e placa gli animi. Andate nel porticato posteriore della chiesa, dove ci sono le due tavole panoramiche. Guardatevi intorno. Sotto di noi, verso la pianura, una miriade di borghi, di case sparse, di boschi e di fabbriche. E’ la “città diffusa” del Biellese orientale, dove vivono più di quidicimila persone e il cartello posato da Gianni Rondoni ormai tanti anni fa, continua a dire in dialetto e con grande senso della realtà “da qui vediamo la nostra casa”. Dalla parte opposta il silenzio di una valle spoglia e indifesa, che davvero sembra un altro mondo. Cercate di ascoltare oltre che sentire; provate a vedere, oltre che a guardare. Non credo ci sia, a mio sapere, un posto più significante e pieno di valori.

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