Provincia di Cuneo. Valle Maira, un esempio

Varaita, Maira, Grana, Stura e Gesso. Cinque vallate come le cinque dita di una mano. Sono le più importanti della provincia di Cuneo, disposte tra il Monviso e la Cima d’Argentera. E’ questa la prima analogia che ho trovato con la provincia di Biella, cinque valli che nel numero ricordano le nostre, riprese dal simbolo turistico disegnato da Ugo Nespolo. Ma non è l’unica relazione tra le due province, a cominciare dal fatto che alcuni imprenditori turistici della Valle Maira sono titolari di un paio di importanti alberghi nel Biellese.

Una lunga valle
Utilizzando il Voucher Vacanze proposto dalla Regione Piemonte - tre notti in albergo al costo di una - nella scorsa settimana sono stato qualche giorno in Valle Maira. Vi ero andato solo una volta, più di vent’anni fa, ma da allora questa valle ha avuto un particolare sviluppo turistico, tanto da diventare un esempio virtuoso nel panorama dell’accoglienza alpina.
La valle ha un suo logico inizio a Dronero, bella cittadina di settemila abitanti a 20 chilometri da Cuneo. Il bel ponte merlato, costruito nel XV secolo, è l’elemento architettonico più fotografato e supera il torrente Maira con una grande arcata in pietra.
Come tante altre vallate alpine, dopo un inizio dolce la strada si infila tra due catene di monti sempre più alti, tra un verde spesso oppressivo. Bisogna fare oltre 30 chilometri di fondovalle prima di poter respirare nell’ampia conca che precede Acceglio, piccola capitale della Val Maira.

Elva, piccolo mondo
Ma prima vi consiglio di farvi attrarre da un paio di valli laterali. Alla nostra destra, salendo, parte il vallone di Elva; a sinistra, poco oltre, quello di Marmora. L’attacco per Elva è - a dir poco - impressionante: una lunga gola, con un versante tagliato da una serie di gallerie, strada teoricamente chiusa ma costantemente e pericolosamente violata. L’alternativa è una lunga rotabile che sale da Stroppo oppure l’altrettanto eterno colle di Sampéyre, che arriva dalla Val Varaita.
Ma superate le difficoltà di accesso, quello che vi aspetta in Elva ripaga ampiamente il disagio per arrivarci. Una grande e solare prateria sale dai 1500 a oltre 2000 metri di altitudine, tra pascoli e qualche abetaia. Piccole frazioni e diverse cascine punteggiano il pendio, posizionate nel posto giusto per servire i prati e per le necessità degli animali.
E’ un minuscolo ma delizioso mondo alpino, con un giusta ospitalità al servizio di un turismo che definire sostenibile è fare un torto agli operatori, non potendo essere diverso. Con tanto di gioiello storico nella sua chiesa parrocchiale, che accoglie una splendida Crocifissione della fine 1400, opera del Maestro d’Elva, il pittore fiammingo Hans Cremer.

La Gardetta
Torniamo al fondovalle per trovare, quasi contrapposto a quello di Elva, il vallone di Marmora. Qui la strada è più gentile e il paesaggio si apre presto, dividendosi nei comuni di Canosio e di Marmora. Oltre le case di Canosio, il vallone prende il nome di Préit, risale a tornanti un ripido bastione e porta ad un colle situato a quasi duemila metri.
Ti aspetti di scendere dall’altra parte, cosa normale per un passo di montagna, e invece… un grandioso spettacolo ti accoglie. E’ la Gardetta, smisurato altopiano lungo una decina di chilometri e largo un paio, pieno di pascoli e circondato da picchi rocciosi su ogni lato. Una serie di strade congiungono alpeggi e fanno la felicità dei bikers, ma anche l’escursionista trova appagamento ad osservare, in questi giorni, una splendida fioritura ben oltre i 2500 metri.
Un grande pianoro accoglie il Rifugio della Gardetta, mentre le occhiaie vuote di alcune casermette ci ricordano che non siamo lontani dai confini francesi.

La Rocca e la cascata
L’escursione più bella fatta in Maira è stata certamente quella in testa alla valle, partendo dal delizioso villaggio di Chiappera, il più elevato della valle. Abbiamo risalito la strada che passa alla base dell’imponente Rocca Provenzale, una caratteristica formazione rocciosa, alta oltre 700 metri. A fronte avevamo la parete da dove precipita l’altissima Cascata di Stroppia, ora meno fragorosa come al tempo del disgelo ma sempre affascinante come spettacolo della natura. Avvicinandosi alla Rocca se ne scoprono i segreti, le diverse punte e le profonde spaccature che le separano. Non lontano si vedeva il Col de Maurin, che collega la Valle Maira con il vallone francese dell’Ubaye.

Dalla Valle Maira a Biella
Nel ritorno verso valle ci siamo concessi una sosta ad Acceglio, per incontrare Alessandro Bolfi all’Hotel Londra e farmi raccontare i motivi del successo turistico della sua valle. Con un pizzico d’orgoglio, Bolfi traccia il carattere della gente di qui, tempra di montagna poco incline, negli anni Sessanta, a farsi sottomettere dalle lusinghe di un turismo invernale fatto di impianti e di condomini, come stava avvenendo nelle vallate vicine. Ma quella loro rinuncia ha salvato la valle, facendola diventare un paradiso per lo sci-alpinismo, frequentato ora da molti stranieri.
Il successo turistico in Valle Maira ha permesso ad Alessandro Bolfo e al suo amico Eugenio Rosano di impegnarsi anche fuori valle. Sono loro infatti i titolari di due tra i migliori alberghi del Biellese, il Relais Santo Stefano e l’hotel Cascina Era di Sandigliano.
Alla domanda di Bolfi “come mai i biellesi non ci hanno pensato prima di noi…” non ho saputo rispondere, se non con la considerazione che forse dobbiamo ancora imparare ad essere “turisti di noi stessi”.

RIFUGIO ALPENZU GRANDE Alpenzu Grande, Gressoney-Saint-Jean (Ao)
Cell. 338 2562229


Il rifugio si trova a 1779 m s.l.m. ed è raggiungibile in circa un’ora di cammino partendo dalla frazione Chemonal di Gressoney-Saint Jean. E’aperto dal 1992 e fa parte di un villaggio di tredici abitazioni costruite a partire dal 1668, anche se le prime case Walser di cui c’è traccia risalgono al 1200 circa; il villaggio è sottoposto alla tutela della Sovrintendenza dei beni culturali ed ambientali. Il rifugio, che si trova su un balcone naturale dal quale si può ammirare sia la vallata sottostante che il Monte Rosa sullo sfondo, è aperto quest’anno fino al 13 settembre. La prima cosa che vediamo al nostro arrivo è una bella fontana da cui sgorga un’acqua freschissima di cui abbiamo un grande bisogno dopo la ripida salita sotto il sole implacabile di una giornata fra le più calde delle nostre gite in montagna. Lungo il percorso si possono ammirare larici giganti vecchi di 500 anni mentre nei pressi del rifugio c’è un altissimo e bellissimo acero che di anni ne ha 300. Lo osserviamo seduti nel dehors dal quale ammiriamo anche il Monte Rosa, mentre ci giunge al naso un profumo invitante: è il segnale che si sta avvicinando l’ora del pranzo. Ci accomodiamo all’interno in una saletta tutta di legno, in un angolo con vista cucina: i profumi sono deliziosi e i cibi sono ben presentati. Oltre all’acqua di fonte ordiniamo una birra e scopriamo che la Menabrea da quest’anno è disponibile anche in lattina, con la sua Pils bionda da 5,2 gradi: ottima scelta, non avevamo dubbi. Dal menu scegliamo una delle due specialità della casa, il fiore di Alpenzu (un piatto di mocetta sistemata come se le fette fossero dei petali con il centro composto da peperoni, zucchine e melanzane grigliate) rinunciando al chnefflene (piatto di gnocchi realizzato con panna e speck). Assaggiamo poi la polenta con la carbonada ed anche la polenta con la salsiccia grigliata, piatti semplici ma molto ben realizzati. Come dolce abbiamo preso la torta di mele, servita tiepida e molto gustosa. Dopo il caffè un digestivo ha chiuso la nostra soddisfacente esperienza a tavola, spendendo 16 euro a testa.

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