Valle d'Aosta. Sui sentieri di Ayas, tra natura e arte

Il posto è da favola. Una grande radura tra gli alberi, più grande di un campo di calcio. Attorno solo montagne che superano i tremila metri e, sotto i larici, centinaia di tende di un improvvisato campeggio. Siamo al Pian dell’Orgionot, a quasi duemila metri. Località Estoul, piccola frazione di Brusson, in Val d’Ayas. Ci si arriva solo a piedi, ma l’ampio parcheggio, che d’inverno serve una piccola stazione sciistica, è a pochi minuti di cammino.

Il richiamo della foresta
Questa è solo la terza edizione del festival, dal titolo che si rifà al romanzo di Jack London, ma subito ha trovato uno spazio culturale e un successo che forse nemmeno gli organizzatori si aspettavano. Una gran parte del merito va a uno degli ideatori, Paolo Cognetti, che in questa vallata ha trovato l’ispirazione per scrivere il libro “Le otto montagne”, vincitore del Premio Strega 2017.
L’anno scorso vi ero andato per curiosità, quest’anno ci sono tornato per convinzione.
Incontro molti amici, condivido ideali, ascolto conferenze interessanti e concerti dal vivo, ho avuto la possibilità di vedere artisti all’opera e seguire escursioni che cercherò di raccontarvi.
La propaganda del festival dice “Quattro giorni per raccontare i diversi modi di vivere la montagna e il desiderio di comprenderla e popolarla. Arte, libri, musica, teatro e incontri con vecchi e nuovi montanari: persone che da sempre abitano la montagna e persone che ci sono tornate per riprendere i lavori dimenticati o inventarne di nuovi”.

La luna violata
Per chi si ferma a dormire nel campeggio temporaneo che circonda l’area della festa, si chiede il pieno rispetto dell’ambiente. Vengono predisposti container con i bagni, ma non ci sono docce. “Per tre giorni – c’è scritto – prenditi la libertà di profumare di bosco”.
Per fortuna il sottoscritto ha l’opportunità, da oltre quarant’anni, di disporre di un tetto in pietra nella stessa valle e sabato notte mi sono gustato una stellata incredibile scendendo al parcheggio per tornare in baita. Per il buio non vedevo dove mettevo i piedi, ma lo spettacolo era in alto. La luna, nel cinquantenario della sua prima violazione, era ancora nascosta dal Mont Nery. Oltre alla Via Lattea, il cielo era animato dalle luci viaggianti di satelliti e dalle falispe del falò che chiudeva il concerto di Massimo Zamboni.
Prima avevo ascoltato i racconti di Maurizio Zanolla, in arte Manolo, pioniere dell’arrampicata libera, e visto le sculture di Bobo Pernettaz, creativi e divertenti puzzle fatti con legni esausti e illustrati da poesie scritte a mano.

A piedi da casa
Nella giornata di venerdì scorso avrei voluto arrivare a piedi al festival da casa, o meglio da Piedicavallo, ma per impegni sopravvenuti ho cambiato programma. Sarei passato dal lago e dal Colle della Vecchia, sulle antiche mulattiere fatte costruire dal Senatore Rosazza a fine Ottocento, ricche di iscrizioni rupestri. Con una infinita discesa a tornanti sarei arrivato a Gaby, dove il bus di linea che risale la valle di Gressoney mi poteva portare alla seggiovia di Weissmatten. Dal suo arrivo, un facile sentiero di un paio d’ore mi avrebbe permesso di arrivare a Estoul, passando per il Col Ranzola.
Quello che non ho potuto fare io l’hanno fatto alcuni amici valsesiani partiti venerdì pomeriggio da Riva Valdobbia. Dopo un breve riposo al Rifugio Sottile sul Colle Valdobbia, scesi a Gressoney hanno risalito il Col Ranzola, arrivando al festival nel pomeriggio di sabato.

Camminare in piano
In compenso, sabato ho trovato il tempo di fare una breve escursione da Estoul verso il lago Literan, sulla strada per Palasina e per il Rifugio Arp. Panorami aperti su gran parte della Valle d’Aosta, con il Monte Bianco a chiudere la visione verso ponente e le vicine Dame di Challant con ancora cariche di nevai, sospesi sulle loro pareti nord. Non dureranno molto, lo zero termico di questi giorni supera abbondantemente i quattromila metri.
Tutta la valle di Ayas si presta magnificamente per l’escursionismo, grazie alla sua conformazione molto aperta e i dolci versanti sui due lati. Sicuramente è la vallata valdostana più favorita dalla natura, sia per fare trekking d’altura ma anche per lunghe passeggiate pianeggianti seguendo i “ru”, ovvero i canali di irrigazione che prendono l’acqua da ghiacciai del Monte Rosa per andare ad irrigare i versanti più asciutti che guardano al solco principale della Dora Baltea.

Sul Ru Courtod
Il più conosciuto e storico di questi percorsi è quello del Ru Courtod (o Cortot). Si tratta di un canale di irrigazione lungo 25 km, costruito tra il XIV e il XV secolo, per portare l’acqua del torrente Ventina, con sorgente dai ghiacciai del Monte Rosa nel vallone delle Cime Bianche, agli aridi pascoli sopra Saint-Vincent.
Funzionò correttamente per alcuni secoli, poi venne in parte abbandonato. Ripristinato con massicce opere di intubazione alla fine del secolo scorso, ha però mantenuto il percorso pedonale a fianco del canale. Nel tratto che taglia le pareti del Monte Zerbion, il percorso sfrutta cenge e passaggi aerei, sospesi sulla valle, e passa in 14 tunnel scavati nella roccia. Negli otto chilometri di Ru Courtod tra il Colle di Joux e Barmasc, sopra Antagnod, si incontrano in totale 1210 metri di gallerie, dove può essere utile una pila. L’escursione è per tutti, grazie alla sicurezza del percorso, ma l’impressione è di essere su di una via ferrata dolomitica.
Nel tratto più panoramico, da Barmasc verso il monte Rosa, il percorso del Ru passa dall’Alpe Metzan, dove trova il punto di sosta che potete leggere sotto, nella rubrica di Arnaldo Cartotto.

Il Rifugio del Gourmet

AGRITURISMO LA TCHAVANA 

Località Alpe Metzan,  Ayas (AO)  tel. 347 7347523
Oggi si va in Valle d’Ayas, sopra Antagnod. Partendo dalla località di Barmasc percorriamo in direzione della fonte il sentiero pianeggiante che fiancheggia il Ru Courtod, canale irriguo lungo 25 km costruito in 40 anni,  tra il 1393 e il 1433; chissà perché i cartelli che indicano la partenza, l’arrivo e i luoghi toccati dal torrentello sono messi al contrario. La prima parte del percorso avviene all’ombra dei pini e prosegue poi attraverso i pascoli con vista sul Monte Rosa. Dopo circa un’ora raggiungiamo la nostra meta, l’Alpe Metzan a circa 2000 metri di altitudine, in cui si trova l’agriturismo. Prenotiamo un tavolo e proseguiamo per un’altra mezzoretta prima di fare ritorno per il pranzo in un luogo in cui siamo già stati diverse volte. Ma ci sono delle novità, finalmente il menu alla carta affianca lo storico menu degustazione - peraltro molto vario, con porzioni abbondanti e a un buon prezzo - che ci aveva in qualche occasione fatto rinunciare perché “tutto era troppo”. Di conseguenza, la ragazza che ci serve chiede cosa desideriamo, mentre in precedenza l’accoglienza era: buongiorno, conoscete le nostre regole? Abbiamo solo un menu degustazione a 25 euro (passati adesso a 28 euro): al di là del prezzo, il cambiamento segna un indubbio miglioramento nel modo di accogliere le persone e merita di essere segnalato.  Dal menu scegliamo quindi: tagliere di salumi, un’insalata mista, polenta magra con latte e brossa, polenta concia con fricandò di spezzatino e salsiccia, panna fresca con frutti di bosco, acqua, vini bianchi e rossi in caraffa, caffè. Tutto molto buono, va detto che l’80% dei piatti serviti prevede prodotti realizzati da loro e venduti anche nel vicino spaccio. Il conto finale è di 22 euro a testa.

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