
Dalla morte...
alla vita: l’esempio
di un giovane santo
Pier Giorgio Frassati Oggi è il centesimo anniversario della nascita in cielo del giovane delle otto beatitudini. Morì a soli 24 anni lasciando una traccia indelebile
Per ogni credente in Gesù Cristo morto e risorto, la morte rappresenta l’ingresso nella vita eterna, un tornare a Dio, entrare nel Regno promesso e donato ai discepoli del Vangelo.
Chi legge con commozione la narrazione degli ultimi giorni dei soli 24 anni di Pier Giorgio Frassati rimane affascinato anche dal suo “modus moriendi”.
Più che la cronaca della consumazione della sua parabola terrena, si rimane attratti dal suo consegnarsi nelle mani di Dio, in risposta alla chiamata, quella finale.
Non con rassegnazione davanti ad un destino giudicato crudele ed ineludibile, piuttosto come compimento di un cammino di conoscenza, adesione, fede ed amore a Colui al quale apparteniamo in vita e in morte, per essere suoi per sempre.
L’odierno numero de “il Biellese” di questo 4 luglio 2025 scadenza precisa del centenario della morte del giovane “Santo”, vuole riportare qualche traccia di quel sabato torinese, eguale a tanti altri, prima e dopo di Lui, eppure così straordinario.
E non per un evento così eclatante, semplicemente per la morte di un uomo, di un cristiano, di un giovane che ha toccato migliaia di cuori.
E che cento anni dopo chiama alla sequela di Cristo altre migliaia di persone, soprattutto giovani in tutto il mondo.
Si legge nelle testimonianze dei testimoni oculari di quelle ore precedenti il suo pio transito verso il Cielo. “Lentamente Pier Giorgio, tormentato dai dolori, si avviava verso la liberazione finale. Boccheggiava, quasi raccogliesse le ultime sorsate d’aria. Sul volto affilato, scorrevano grosse e misteriose lacrime”. L’amatissima sorella Luciana scrisse: “stordita dall’immensità di quanto stava accadendo, vagavo per la casa, incapace a trovare requie… Suonavano le sette al grande orologio di casa. La mamma reggeva la testa di Pier Giorgio, qualcuno accanto al letto pronunciava una giaculatoria. Io, in ginocchio, con la sua mano e il suo rosario fra le mie, avvertii un’ultima stretta, un ultimo saluto. Era morto”.
Nella fede sua e nostra, diciamo – era vivo- per sempre in Dio.
Quella camera e quel letto divennero subito un santuario e un altare.
Il corpo del giovane, rivestito elegantemente per salutare il “ giorno più bello” come lui stesso lo aveva definito, costituisce subito il centro delle visite, di tantissime preghiere, di sguardi di amicizia che la morte non interrompe, di lacrime, di gratitudini.
Torino, dicono le cronache sembrò fermarsi, una sosta nel suo frenetico ritmo quotidiano.
La notizia corre veloce, raggiunge gli amici, gli studenti, le persone vicine alla famiglia Frassati.
Ma anche quelli che vivono nell’anonimato delle soffitte, nelle case povere che vedevano da tanto tempo Pier Giorno salire le ripide scale, carico di pacchi e ricco di conforto, di prossimità cordiale.
Era l’amico sincero, il fratello in umanità, il credente in missione, il testimone della dignità di ogni persona che da Dio viene e Dio ritorna.
Una parola comincia ad affiancare il triste messaggio della sua dipartita: santità. Sancita dal basso, dalla gente comune, anche dai non credenti, propedeutica naturale di quella che la Chiesa da Lui tanto amata, riconoscerà con i passaggi e con gli atti canonici che le sono propri.
E il prossimo 7 settembre Papa Leone XIV con la potestà che gli deriva dal suo ministero petrino, ufficialmente attesterà con il rito di Canonizzazione.
I funerali dell’intrepido giovane che a detta di san Giovanni Paolo II ha vissuto appieno le Otto Beatitudini del Vangelo, senza nascondere la tristezza della morte e del distacco, possono essere definiti un trionfo.
Tanta gente, un popolo immane, persone attese ed immancabili, persone inaspettate che si accodano al lungo corteo che accompagna le spoglie di Pier Giorgio alla Parrocchiale della Crocetta. Una processione di amici, famiglie notabili, poveri beneficati da lui, gente incontrata per strada alla quale nei pochi anni della sua vita egli ha offerto un sorriso, ascolto, accoglienza, elargì l’elemosina.
Quella vera e cristiana che non offende nessuno, perché esercitata con intelligenza e cuore, discrezione e tatto, l’elemosina abito della carità che comunica Dio al prossimo.
Poi il feretro con i familiari e gli amici più intimi prosegue per il Biellese. Anche il paese di Pollone che tante volte accolse Pier Giorgio, ne ascoltò la voce, le idee, lo vide raccolto in preghiera, assorto nell’incontro con Dio con la vita sacramentale, il giovane signorile nell’anima, caritatevole con tutti, anche Pollone si ferma per salutarlo.
E il suo possente fisico inghiottito dalla morte scende nella tomba del camposanto del paese.
Ma la sua anima bella e pura, immersa nel mistero pasquale di Cristo vive. Nei decenni quella tomba che accolse poi altri familiari, divenne meta di pellegrinaggi. Anzitutto da parte dei biellesi, dei torinesi, di tanti italiani, giovani cattolici, persone di tutto il mondo colpite dalla sua vita tutta per Dio e per gli altri.
Nel luglio 1989 un pellegrino di eccezione: Papa Giovanni Paolo II, oggi Santo, provenendo dal Santuario della Madonna di Oropa. Lì si inginocchiò in preghiera davanti a quel loculo e disse: “È anche per lui che sono venuto. Volevo rendere omaggio ad un giovane che ha saputo testimoniare Cristo con singolare efficacia. Mi congratulo con voi (Pollonesi), ben a ragione lo considerate uno dei vostri..”.
Il papa polacco era venuto proprio per Pier Giorgio e l’anno successivo a Roma lo dichiarò Beato. Anche noi in questi giorni soprattutto, a Torino, a Pollone nella sua villa avita, a settembre a Roma,non facciamo che ripetere con l’entusiasmo della fede che non è utopia, ma concretezza di vita, parafrasando l’espressione del Santo Pontefice: “È anche per lui che siamo venuti!”.
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