Tempio crematorio, si torna in aula per altre 70 querele










L’udienza è fissata per martedì. I familiari dei cremati annunciano il consueto sit-in davanti al tribunale. Ribadiranno la loro richiesta per un nuovo processo





Una vicenda senza fine quella del Tempio crematorio di Biella, iniziata nell’ottobre del 2018 quando la Procura ne ordinava il sequestro insieme all’arresto di un dipendente e di un amministratore della So.cre.bi., la società che lo aveva realizzato e lo gestiva. Martedì il caso torna in aula e la speranza dei familiari di chi ha avuto un caro cremato in quell’impianto è sempre la stessa: che si possa riaprire un nuovo processo contro gli amministratori, in particolare i fratelli Alessandro e Marco Ravetti, condannati in primo grado a 5 anni e quattro mesi il primo, a cinque anni il secondo (la richiesta della Pro- cura era stata di 8 anni). E davanti al tribunale torneranno ad esserci loro, quei familiari costituitisi in comitato — “A casa con loro” il nome datosi — dopo che lo scorso maggio il giudice per le indagini preliminari Arianna Pi- sano aveva archiviato più di 500 loro denunce/querele.
Davanti a un nuovo Gip, la giudice Eleonora Saccone, passeranno un’altra settantina di denunce/querele. Sono quelle, molte di residenti fuori provincia — il tempio infatti lavorava anche con imprese della Lombardia —, di chi aveva saputo dell’inchiesta solo dopo aver visto la puntata della trasmissione “Le Iene” dedicata allo scandalo. Che accadrà in aula? Non sono da attendersi colpi di scena. Gli avvocati che rappresentano i querelanti, tra cui l’avvocato Alessandra Guarini per le famiglie che si sono rivolte a Codacons, porteranno le conclusioni già presentate un anno fa tra cui le perizie dell’ex generale dei Ris Luciano Garofano sulle ceneri contenute nelle urne. Dall’altra parte ci sarà la Procura che ribadirà che si deve archiviare. Il procuratore Teresa Angela Camelio aveva già spiegato a “il Biellese” il perché della sua opposizione. Nel confermare la gravità delle condotte attribuite ai gestori di So.cre.bi., a cui erano stati contestati nove capi di imputazione (in particolare i reati di violazione del sepolcro, concretatosi dall’estrazione dello zinco interno ai feretri ed agli ossari per consentire di bruciare solo la parte in legno, e dispersione delle ceneri), condotte dettate a suo dire da una motivazione economica (avidità) per aumentare il giro d’affari dell’azienda, ricordava come nella richiesta di una pena severa — la richiesta inusuale di 8 anni — e nel- l’opporsi alla proposta di patteggia- mento, avesse già tenuto conto della serialità delle azioni e che le vittime di quel sistema potessero essere molte di più rispetto a quelle individuate. Sottolineava però come fosse stato opportuno e necessario procedere contro i Ravetti ed i loro dipendenti (che hanno patteggiato), che pur avrebbero eseguito per diverso tempo le istruzioni impartite senza sollevare alcun dubbio e perplessità, solo per i casi circostanziati e documentati. Sempre il procuratore spiegava come sulla condanna pronunciata dal giudice di primo grado possano comunque fondarsi le pretese risarcitorie di tutti coloro che hanno un fondato motivo di ritenere di aver subito un danno da Soc.cre.bi. da far valere in sede di giudizio civile. Naturale poi l’opposizione dei legali che rappresentano i chiamati in causa. Ricordiamolo: dalle indagini della polizia giudiziaria, durate un mese, erano emersi elementi tali, secondo l’accusa, da provare che nella struttura venissero eseguite cremazioni multiple con lo scopo di aumentare la produttività del- l’impianto.




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