Cavaglià, padre e padrone: condannato a 7 anni di reclusione

Sette anni di carcere è quanto il Tribunale di Biella ha comminato all’agricoltore 68 enne di Cavaglià finito a processo per i reati di maltrattamento in famiglia e violenza sessuale. Pesante il capo d’imputazione. L’uomo era accusato di aver segregato la figlia, che oggi ha 39 anni, per più di un decennio. La ragazza non avrebbe potuto uscire sola per recarsi al lavoro e neppure per andare al mercato. Quel padre e padrone le avrebbe impedito ogni relazione sociale con coetanei e l’avrebbe fatta oggetto di insulti e umiliazioni. L’uomo era anche accusato di aver abusato della figlia sotto gli occhi impotenti della moglie, anche lei in stato di soggezione psicologica da parte del marito e anche lei vittima degli stessi maltrattamenti riservati alla figlia. Se le accuse di maltrattamenti sono subito parse fondate ed evidenti, confermate durante il dibattimento anche da alcune ammissioni da parte di un teste della di- fesa, la sorella della giovane che da tempo vive altrove, quelle di violenza si sono necessariamente fondate sulla testimonianza della stessa vittima. Nel processo l’agricoltore, in carcere per effetto della misura cautelare ordinata nei suoi confronti e difeso dall’avvocato Carla Mortarolo, si è sempre proclamato innocente. Verdetto difficile quello che ha dovuto adottare il collegio. Da un lato la richiesta di una condanna a 13 anni di carcere da parte della Procura, a cui si sono associati i legali della parti civili, per la figlia l’avvocato Marco Cavicchioli, per la moglie l’avvocato Andrea Ventura, dall’altra la richiesta della difesa che ha chiesto l’assoluzione per le accuse di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della figlia e la pena minima per l’accusa di maltrattamenti nei confronti della moglie. I giudici — la camera di consiglio è durata per alcune ore — hanno ampiamente dibattuto e soppesato ogni elemento di prova prima di arrivare alle conclusioni. Se nessun dubbio è stato rilevato per i maltrattamenti, i giudici hanno deciso di riqualificare l’imputazione di violenza sessuale che non sarebbe stata fondata sulla costrizione fisica ma sullo stato di soggezione e prostrazione psicologica a cui l’uomo aveva costretto la figlia. A decidere su questa accusa sarà un nuovo collegio, per intanto il fascicolo torna in Procura. Il collegio ora dovrà ancora ritirarsi in camera di consiglio per decidere sulla richiesta della difesa relativa alla concessione dei domiciliari. Ci saranno poi gli strascichi civili per la determinazione del danno. Il tribunale penale ha fissato una provvisionale rimandando al tribunale civile la decisione finale.

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