PAROLE - Il gatto d’ospedale e la Tac che vorremmo

Non lo so, probabilmente avessimo potuto lo avremmo fatto tutti. Ci saremmo comportati tutti come il medico di Aosta che ha fatto una Tac in ospedale alla sua gatta, Athena, caduta dal settimo piano, e poi l’ha salvata con un intervento d’urgenza. Però, come sempre c’è un però. Grande, che va oltre all’incredibile umanità e senso della vita mostrata dal dottore. E il però sta nel “se avessimo potuto”. Che si trasforma in un attimo in una domanda: ma avremmo dovuto? Il senso di difficoltà rispetto alla vicenda, che davvero ha un lato umano da libro cuore, resta quello della vecchia attitudine tutta italiana della raccomandazione, della scorciatoia, del favore, della possibilità solo per alcuni. Perché, poi, il gesto tutto amore del radiologo finisce per terminare di fronte ad un altro banale quesito, senza neanche tirare fuori gli esempi di chi purtroppo, umano, causa assenza di una Tac non urgente ma almeno tempestiva se ne è andato in cielo: ma lo avrebbe fatto per il gatto del vicino? Credo di no e non solo perché il vicino non si sarebbe mai sognato di chiederglielo. Non so, mi sarei aspettato che quel dottore potesse fare certo di tutto per salvare il suo micio, magari andando a velocità folle fino alla clinica veterinaria più attrezzata, persino che strappasse di mano al veterinario il bisturi. Ma non che andasse in ospedale. Fino alla vicenda di Aosta tutti pensavamo, con un grado di ragionevole certezza niente affatto approssimativo, che molti godessero di favori propri o di altri per superare liste d’attesa e sfoderare urgenze nel quadro di una martoriata sanità italica. Ci si è un po’ tutti rassegnati in un clima dove per abbattere le lungaggini poco salutari o paghi privatamente, nel senso di tasca tua, o “conosci” o speri. Ora, però, accorgersi di venire scavalcati pure dal gatto, il gatto del medico che non paga neppure, è tanto. Considerato poi che i felini notoriamente di vite ne hanno sette, noi una sola se ci va di lusso.

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