PAROLE - La coperta al clochard che scalda le coscienze

In mezzo al mare magnum di una cronaca dalle notizie a dir poco frustranti, il fine settimana ce ne ha offerta una diametralmente opposta. Ogni tanto succede. E succede anche a Biella.

È una di quelle storie un po’ da libro cuore, perché l’abitudine a cose del genere non ce l’abbiamo e di conseguenza quell’abitudine non l’abbiamo fatta. Il gesto del 22enne, che a sera tarda passando sotto i portici per andare verso l’androne del palazzo dove abita nota un senzatetto e per lui si preoccupa, restituisce qualcosa di prezioso al nostro essere. Anzi, per la verità lo restituisce alla no- stra condizione di indaffarati cronici, di cittadini del mondo che non sanno più guardare davanti all’uscio di casa. Di chi reclama tutto e di tutto, ma non sa fermarsi per osservare, pensare, capire, ascoltare.

Il fatto stesso che un comportamento che dovrebbe essere naturale induca a scomodare la potenza dei sentimenti è la più palese testimonianza della disabitudine ad un semplice gesto di umanità. Il paradosso è che l’eccezionalità dell’azione del 22enne di Biella sta proprio nel non aver fatto nulla di eccezionale. Ma solo nell’a- verla fatta quell’azione. Dovrebbe essere questo il punto di partenza di una storia obbligata a lasciarci qualcosa. Anni fa negli Stati Uniti un ragazzino era stato due ore al gelo per strada senza che nessun passante lo aiutasse: si era trattato di un esperimento sociale. Da brividi, verrebbe da dire, e non per il freddo. Quello dell’al- tra sera non aveva niente a che vedere con un esperimento, ma in qualche modo è come se lo fosse stato. E ha funzionato. Dicendoci che possiamo avere tutti gli occhi e il cuore di quel giovane: quello che con una coperta ha provato a dare conforto al clochard, ma con un atteggiamento ha scaldato le coscienze. Troppo sovente fredde.

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