PAROLE - La cura del dottore che suona a casa

Non siamo ancora quel Paese che dovremmo essere. La conferma arriva dalla storia del medico di Fermo che prima aveva dimesso una giovane paziente e poi a fine turno si era presentato a casa sua per dirle che sarebbe stato meglio tornare in ospedale per approfondire diversamente la sua situazione effettivamente grave. Già, ma non siamo ancora il Paese che dovremmo essere non per il comportamento del chirurgo, ma per lo stupore che ha accompagnato la notizia.
Ecco, sotto sotto il rimarcare più l’eccezionalità dell’operare che la semplice ammirazione e il compiacimento per quanto fatto è il processo che finisce per non farci uscire da cosa siamo. Nel campo specifico artefici e vittime, al contrario, della malasanità. Bene inteso, senza la pretesa che ogni medico venga a suonarci a casa con l’elenco degli esami da fare. Perché questa storia, con la guarigione della 15enne, dovrebbe consegnarci anche e soprattutto la vecchia idea della sanità. Che guarisce e può guarire e che di medici come quello marchigiano ne ha tanti. In quanto a quel dottore c’è da dirgli grazie due volte: la prima per aver ricordato che il lavoro del medico è più di un turno che finisce o di una diagnosi che purtroppo si può anche sbagliare; la seconda per non avere voluto rilasciare interviste «per un caso normale». Se tiene duro e non va a citofonare a casa di qualche giornalista ci ha dato una cura o almeno una lezione. Professionale, umana e intima. Buona per provare a essere il Paese che dovremmo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA