Un buon inizio di 2018… Signorina, dica lei, dove stanno i Carisey?

Non sono un lettore di oroscopi, ma come tanti in questi giorni ho prestato più o meno casualmente l’orecchio alle varie profezie che potevano riguardarmi. Per il mio segno avrebbe dovuto essere un inizio d’anno positivo, per non dire esaltante. Difatti. Martedì 2 gennaio comincio a tossire con insistenza, con forti dolori al petto. Il giorno dopo è febbre, giovedì 4 è di sicuro influenza. Per correttezza chiamo il mio medico, che mi aveva vaccinato a inizio dicembre: “l’ho presa anch’io, prima volta dopo 24 anni che mi faccio il vaccino!” Mai avere il medico di famiglia amico di famiglia…

Colpa del blackout

Sabato 6 e domenica 7 gennaio. Doveva essere il week end finale del Presepe Gigante, con migliaia di persone. E io in piazza, ad accogliere amici e visitatori. Ma sono ancora influenzato e fuori c’è un tempo infame, pioggia e vento da tener lontani i lupi. In compenso lunedì peggiora, e mentre a sera mi metto di buon grado a scrivere la pagina di “Dietro l’angolo”, se ne va via anche la corrente elettrica. Subito ti senti perso, senza tecnologia per la scrittura e per consultare dati e album, ma poi ti ricordi che nella vita vissuta nel millennio scorso le cose funzionavano ugualmente. Alla luce di una lampada a gas riapro la valigetta di cartone che contiene mezzo secolo di ricordi, con l’intento di recuperarne qualcuno bell’e pronto. E così oggi vi dovrete accontentare di brani slegati tra di loro, di luoghi immaginari finiti nelle mie rime giovanili, di foto ripescate a caso. Ma è stato un divertimento che spero di poter ripetere presto, anche senza blackout.

La Ditta Martinelli

Giungevano puntuali ogni anno in primavera, con il primo caldo. Il rumore del motore di quel grosso camion interrompeva i nostri compiti e subito uscivamo a seguire le manovre di parcheggio nella piazzetta della borgata. Poi, una volta fermo, il mezzo e i suoi abitanti venivano avvolti da un grande telo bianco, quasi un guscio protettivo. E tutto tornava in silenzio. Era arrivata la Ditta Martinelli di Bergamo, o meglio uno degli ambulanti che giravano il nord Italia con i prodotti di questa azienda bergamasca. Se ci ripenso, credo che quel sistema di vendita diretta fosse l’esempio più moderno di marketing commerciale che io ricordi, un quarto di secolo prima di Aiazzone. Quel guscio e il suo silenzio si interrompevano di colpo subito dopo cena, con la musica di un gracchioso altoparlante, da dove uscivano le note di alcune canzoni di quel tempo, compresa quella che recitava “ma che bella pansé che tieni, che bella pansé che hai…” tra le risatine del ragazzi più grandi.

Venghino, venghino…

Le donne uscivano dalle case portandosi una sedia e si sistemavano in piazzetta, a fronte del camion che ora aveva alzato la vela come un normale ambulante e aperto il telo di una fiancata, scoprendo il contenuto fatto di tessuti, corredi e mercerie. Dentro il suo negozio mobile, l’ambulante teneva un microfono appeso al collo per avere le mani libere e, finita l’introduzione musicale, da perfetto imbonitore presentava i prodotti uno dopo l’altro, passandoli alla moglie che girava tra il pubblico per magnificarne la qualità, ma senza fare vendita, riservata al mattino successivo. Per noi era sera di festa, dove potevamo star fuori senza problemi e il giorno dopo, uscendo per andare a scuola, ritrovavamo in piazzetta la bancarella dei Martinelli.

Una semplice penna biro

E’ una Paper Mate, made in USA, della fine degli anni ’70. Ricordo bene quando Paola Grosso, moglie di Adriano Tonso, me la regalò in segno di buon auspicio all’inizio della mia attività di grafico, dopo 17 anni passati come dipendente nella loro tipografia. Allora non avevo capito l’importanza del dono, sembrava quasi un’integrazione alla liquidazione, come la cassa in legno porta-caratteri che nel mio studio contiene tutta una serie di piccoli oggetti e simboli legati al mio lavoro. Era gennaio o febbraio del 1981, e questo piccolo ma significativo regalo mi veniva dato nella cartoleria Tonso, all’angolo di Piazza Italia a Mosso S. Maria, sotto il Municipio. Ricordo l’astuccio trasparente, con la base nera che conteneva la spugna grigia, leggermente scavata per accogliere la penna. Doveva essere una biro importante, vista la confezione. E scriveva benissimo, anzi scrive ancora benissimo, con un inchiostro di colore blu chiaro. Perché dopo tanti anni, questa penna biro è ancora al suo posto, nella mia scrivania, in un vecchio portapenne in legno. In questi anni avrò consumato e perso centinaia di penne e matite, dimenticate in taschini e cartelle, nel portaoggetti dell’auto, in vari traslochi di studio. Ma questa penna la ritrovo sempre, quasi una reliquia o un’icona del mio lavoro. Ha scritto pagine e pagine sulle mie agende, ha visto nascere su carta idee, progetti e ha lasciato il suo segno su semplici appunti e note a margine. Non ha più la clips, staccatasi per usura e un pezzo di scotch aiuta il lavoro di una molla ormai stanca. Per questo, ora, la uso solo per firme su documenti e nelle occasioni importanti, tanto per tenerla in forma. Lunga vita anche a lei.

Note sparse

In una agenda del 1968 avevo cominciato a raccogliere citazioni, frasi curiose e sparse che magari avrei potuto riciclare. Cosa che mi capita ora di fare, riscrivendone alcune che a mio parere risentono del tempo ma che non hanno perso la loro piacevolezza: “Il treno agitava il suo grande fazzoletto di fumo in segno di saluto”; “Le carte stradali dicono tutto al turista, meno come ripiegarle”; “La carta assorbente è quella cosa di cui si va in cerca mentre l’inchiostro asciuga”. Tra le varie note, ho ritrovato un foglietto dove avevo parafrasato una canzone del 1948 di Natalino Otto, intitolata ”La classe degli asini”, poi ripresa anche da Renzo Arbore.

Signorina dica lei,

dove stanno i Carisey?

Stanno forse in Samotracia

Li nascosti in contumacia

O celati, guarda casa,

tra le brume del Parnaso?

Oppur anche (appare certo)

Lungo il libico deserto?

O dispersi (ma pensate…)

entro i flutti dell’Eufrate,

o piazzati per benino,

nelle piane del Tonchino.

C’è perfino chi spergiura

“sono nell’Estremadura”!

Altra gente poi affermava

son nell’isola di Giava,

per non dir – ma per favore –

che ora sono a Singapore!

Chi l’ha visti, ma si sbaglia,

nella bassa Cornovaglia

e qualcuno più informato

che li vuole in Delfinato.

O segnala la presenza

Tra le dune di Provenza…

Signorina non dia retta

e risponda in tutta fretta:

“io pensavo, mi par chiaro,

dalle parti del Favaro…

Altrimenti non saprei

dove stanno i Carisey”.

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