PAROLE - Morti sul lavoro. Il cantiere senza futuro

Si resta sempre attoniti di fronte alle morti sul lavoro. Più che di fronte ad altre. Forse perché si pensa che gli strumenti che abbiamo in nostro possesso, i livelli di sicurezza, norme e normative, leggi e disposizioni siano uno scudo forte, a livello preventivo chiaramente, per scongiurare episodi tragici nei cantieri o nelle fabbriche.

E invece, troppo spesso, ci troviamo come a ripartire da capo dopo uno scoppio, un crollo, un’impalcatura che vacilla o un macchinario che stritola. E soprattutto dopo che qualcuno si trova a piangere uomini e donne troppo giovani per morire o uomini e donne che troppo avevano lavorato per doverci morire su quel lavoro.

Il punto, come spesso succede, è però sempre lo stesso. Disposizioni stringenti hanno un doppio effetto. Da un lato a volte sono addirittura deterrente per una nuova attività, dall’altro diventano normative da conoscere solo per poterle aggirare, approfittando magari di chi di un lavoro ha estrema necessità, costi quel che costi. Il tutto, naturalmente, a scapito di chi, e fortunatamente sono la stragrande maggioranza, agisce correttamente mettendo i propri lavoratori nelle migliori condizioni possibili di sicurezza. Così come una società moderna e civile ci impone.

Ciò che è inaccettabile è sapere che quell’operaio o quel lavoratore morto avrebbe potuto salvarsi se avesse avuto protezioni e accorgimenti che quell’attività impone per buon senso e anche per legge. Ecco, è questo lo stato di rabbia aggiuntivo che si prova davanti alla tragedia. La sequenza di morti bianche, come vengono chiamate quelle sul lavoro, diventa triste cantiere nel quale sembra non si riesca mai fino in fondo a costruire un futuro più sicuro. E continuare ad accettare, fino al prossimo incidente, è solo il modo di levarsi la polvere di dosso dopo un crollo. Quello di chi ha costruito quasi tutto, tranne una mentalità che vada oltre alla conoscenza delle normative.

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